Roberto Beccantini: Comunardo, a modo suo

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Al destino in vacanza non deve essere parso vero. E' l'Europeo degli autogol, autogol schietti, netti, senza bisogno di ricorrere al dna dei piedi. E allora, se è l'Europeo degli autogol, io destino convoco in cielo colui che, per gli italiani, ne divenne il simbolo. Comunardo Niccolai, trincea del Cagliari campione d'Italia. E' morto a Pistoia, dove abitava, all'età di 77 anni.
Stopper di ruolo e Comunardo per antifascismo (il papà, in onore della Comune di Parigi), è stato una figurina del nostro album, un gracchiar di transistor delle nostre domeniche, scusa Ameri, a te Ciotti, l'Italia del Novecento e di Tutto il calcio, un altro calcio. Il calcio di Gigi Riva. Sardo per caso, al'inizio. Ma poi per sempre. E per scelta.
Niccolai ne fu fedele e ruvido scudiero. Un Sancho Panza che si appiccicava ai Don Chisciotte che il calendario gli assegnava. Ma non per servirli: per asservirli. Era un soldato semplice, anche se quasi mai un semplice soldato. E' passato alla storia per i gol che infliggeva ai suoi e non agli avversari. Il più famoso è in fuga dal 15 marzo 1970, Comunale di Torino, Juventus-Cagliari 2-2. Dirigeva Concetto Lo Bello, l'arbitro che creò l'arbitro. Ci fu un cross dalla destra di Beppe Furino e lui, Comunardo, folgorò di testa, sul primo palo, un Ricky Albertosi mummificato.
Ne fece altri, sei in tutto, ma nessuno come quello. Riccardo Ferri e Franco Baresi arrivarono a otto. Andò in Nazionale, Niccolai, e prese parte alla spedizione messicana del '70. Apparve contro la Svezia, poi s'infortunò. Si dice che Manlio Scopigno, sbirciandolo in tv, avrebbe detto: «Mi sarei aspettato di tutto, ma non di vedere Niccolai in mondovisione». In realtà, si sarebbe limitato a un meno pittoresco «Ma si può?». Siamo sempre lì: come nel vecchio West, se la leggenda è più bella della realtà si stampa la leggenda.
Albertosi; Martiradonna, Mancin; Cera, Niccolai, Nené; Domenghini, Brugnera, Gori, Greatti, Riva. Con la punteggiatura dell'epoca, polvere che non soffoca. Quando le formazioni erano filastrocche; e a noi ragazzi in curva bastava un dribbling per sentirci poeti. Ciao Niccolai, quei capelli evasi, quegli speroni operai, quei gomiti che sapevano di officina, di sudore, di vita.
ROBERTO BECCANTINI

Si ringrazia il collega Roberto Beccantini per la gentile concessione dell’articolo

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