VISIONARI MOVIMENTI DISFATTISTI: L'ARTE, DI NICCHIA, DI NICCOLAI

Ti sia lieve la terra Comunardo Niccolai, a te che dura, altro che lieve, è stata la polvere delle aree di rigore.  Prima Riva, adesso tu, come se il cielo, già azzurro, avesse bisogno anche di voi due, per essere un po’anche rosso…

(Luca Savarese) – Mentre oggi ci sono il mental coach ed il match analyst, ieri, quando la radio favoriva laudi o strazi nelle orecchie degli italiani, nell'immaginario collettivo calcistico c’erano lo Sciagurato Egidio, Calloni, che i gol li sbagliava e poi c’era lui, Comunardo Niccolai, che i gol li faceva, ma spesso, nella propria porta.

A proposito di porta, papà Lorenzo, portiere nel Livorno, prima scatenato antifascista e poi calciatore, chiama il figlio Comunardo, omaggio chiaro alla Comune di Parigi. Nasce, ad Uzzano, nel pistoiese, in un giorno che è tutto un programma: 15 dicembre 1946, dieci giorni al  secondo Natale, dopo i fuorigioco e i coprifuoco, vissuti nel campo della guerra.

Dalle trincee ad altre, quelle difensive, che frequenta e volentieri, da stopper. Ci sa fare, lo  intuisce mister Innocenti, detto Pozzo, un luminare della panchina pistoiese, al Montecatini.

Altro che manager di oggi: le mani, le usa direttamente lui, per chiamare chi può limarlo in Sardegna. Un anno alla Torres e il praticantato è fatto. Si aprono per lui le porte del Cagliari: ma in quattro anni a Casteddu, racimola solo 6 presenze.

Perché allora non provare qualcosa di nuovo? qualcosa di nuovo si chiama Chicago Mustangs, una sorta di seconda squadra del Cagliari, che gioca in un campionato americano. Anche quello, serve per fare esperienza; ora ha l'hardware necessario per prendersi il cuore del computer arretrato cagliaritano con Cera, Martiradonna. C'è  anche lui tra i ragazzi, che guidati da Mario Scopigno, fecero la storia perché per la prima volta, arrivarono in cima allo stivale pallonaro, dalla provincia, strappando lo scudetto dalla centralina nordica e romanesca giallorossa.

"In realtà, non he fatti così tanti di autogol, ne hanno fatti molti di più alcuni miei colleghi, ma quelli miei, sono stati piuttosto epici. E mi hanno fatto diventare speciale. Altrimenti, sarei rimasto normale, raccontò in una delle sue ultime interviste rilasciate a "Il Giornale" un anno fa. In effetti, poi, gente come Riccardo Ferri e Kaiser Franz Baresi, ne collezionarono 8 a testa, ma i suoi, esulano dal normale reparto, un po' ospedalizzato, del repertorio.

Quelli di Niccolai sono pazze prodezze che vanno a ritroso: sulle prime sembrano intromissioni stridenti, ma poi,  a ben guardare, si rivelano colpi di spadaccino provetto. Sì, gli autogol di Niccolai, sono merce rara, roba da intenditori, pietre miliari. Come i tagli della tela di Lucio Fontana o le invasate esplosioni di colore di Jackson Pollock. Andrebbero,  a pieno titolo, custoditi, anch'essi, nei musei.

Per ora, sono conservati, in quei musei, d'estate particolarmente silenziosi e riflessivi, che si chiamano stadi, testimoni e curatori di mostre straordinarie.

Stadio Comunale di Torino, 15 marzo 1970. Il Cagliari, arriva a casa di madama con lo scudetto sul petto.  Apre le marcature Niccolai… ma nella rete della sua porta. Insaccando, con perfetta scelta di tempo, un cross dalla destra di Furino. Ciotti, nell'intervista dopo partita, gli chiederà quale compagno lo avesse più biasimato e quale invece più consolato. "Albertosi (da portiere non avrebbe potuto fare di meno) e Nené ( che da brasiliano, capiva la sofferenza prima di altri).

Catanzaro,13 febbraio 1972. Cagliari avanti 2 a 1. Ma premono i giallorossi di Calabria. Spelta viene messo giù,  Niccolai sente un fischio, pensa che Concetto Lobello, alla direzione numero 300 in A, abbia assegnato la massima punizione e scaraventa un bolide stizzoso verso la propria porta. Brugnera, deve correre per evitare la beffa e stoppa il pallone di mano. Rigore, vero, a questo punto. Lo stesso Spelta, trasforma.  Sogni al contrario, visionari movimenti disfattisti. Sanno di niente, solo le storie senza crepe.

Buon viaggio Silvano, come lo chiamava sua mamma per opporsi costantemente a quell'impetuoso Comunardo, imposto, forse un po' maldestramente, da papà: in fondo, il primo autogol di tutta la faccenda… Luca Savarese

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