Cop29 sul clima, tra chi punta i piedi sul fossile ai contentini sui fondi: la battaglia per trovare un accordo (che rischia di saltare)

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Da anni non si rischiava che una Conferenza delle Parti sul clima finisse con neppure uno straccio di accordo, ma è accaduto. L'Arabia Saudita punta i piedi sui combustibili fossili, altri petro-Stati agiscono dietro le quinte e i Paesi meno sviluppati del mondo tengono duro, pretendendo di avere voce in capitolo sui finanziamenti. La Cop29 di Baku, in Azerbaigian sarebbe dovuta finire venerdì 22 novembre ma, anche dopo una notte di negoziati, il compromesso raggiunto da Unione europea, Giappone, Canada, Australia e Cina non è arrivato oltre i 300 miliardi di dollari all'anno dai Paesi industrializzati al 2035, 50 in più rispetto alla bozza di venerdì, definita uno 'sputo in faccia' ai paesi poveri. La nuova cifra è contenuta in una proposta di testo inviata alle parti, che ha condizionato (in peggio) tutta la giornata, durante la quale tra malumori, tavoli negoziali abbandonati e proteste, un delegato saudita è stato anche accusato di aver apportato direttamente modifiche a un testo ufficiale di negoziazione. Alla fine, dopo diversi rinvii, l'atmosfera era molto tesa quando il presidente della Cop29, Mukhtar Babayev, ha dato il via alla plenaria, poco dopo le 20 (ora locale).

Chi spinge, chi rema contro. E il rischio che non si raggiunga il quorum –La sensazione respirata per tutto il giorno è che il testo negoziale sia un “prendere o lasciare” quelle poche concessioni: oltre ai 50 miliardi in più, un chiarimento del linguaggio sui Paesi che devono contribuire e i donatori volontari e l'aggiunta della triplicazione dei flussi finanziari per l'adattamento. Anche perché dietro la discussione dei finanziamenti c'è il braccio di ferro sui combustibili fossili che non aiuta. Alcuni delegati dell'Arabia Saudita sono arrivati ad affermare che non avrebbero accettato alcun testo che prendesse di mira settori specifici, compreso quello dei combustibili fossili. Altri Paesi “lavorano” dietro le quinte. Nel frattempo, però, i rappresentanti di alcuni Paesi stanno già andando via. "In questo modo si rischia di non raggiunge il quorum per poter trovare l'accordo" spiega il think tank Ecco, secondo cui "l'Unione europea sta spingendo per trovare un'intesa insieme ai Paesi più vulnerabili e a quelli più progressisti". Anche la Cina è dentro (e sui finanziamenti contribuirà, anche se volontariamente).

La proposta di mediazione “fuori tempo” – Nel testo non ufficiale circolato sabato pomeriggio, dunque, la cifra di cui si fanno carico i Paesi sviluppati per arrivare a 1,3 trilioni mobilitati al 2035 è passata da 250 a 300 miliardi di dollari all'anno. Giappone, Svizzera e NuovaZelanda si sono opposti fino alla fine. In realtà, diversi paesi donatori sono arrivati alla Cop senza un mandato per superare i 300 miliardi di dollari, mentre il gruppo G77 e la Cina (che oggi rappresenta in realtà 134 Paesi) hanno spinto per arrivare ad almeno 500 miliardi di dollari. Oltre 300 ong hanno invitato il gruppo negoziale a non accettare meno fondi. Anche perché si parla sempre di flussi non esclusivamente “forniti” dai Paesi industrializzati, così come avrebbero voluto i Paesi in via di sviluppo, ma “mobilitati” e, quindi, frutto di fondi pubblici, privati, banche multilaterali di sviluppo. Durante il tavolo di negoziazione, però, il gruppo dei Paesi meno sviluppati (Least developed countries, Ldc) e dei piccoli stati insulari (Sids), quasi 60 paesi tra i più poveri al mondo, hanno tenuto il punto. Hanno segnalato di non essere stati consultati prima dell'invio della proposta (e non è la prima volta che accade storicamente) e che, nel testo, non si tengono affatto in considerazione le loro istanze, ossia 39 miliardi di dollari ai Sids (Piccoli stati insulari in via di sviluppo) e almeno 220 miliardi di dollari per i Paesi meno sviluppati. Hanno così chiesto di sospendere la sezione.

L'adattamento e la qualità della finanza – Nella proposta, però, si chiarisce che la leadership in materia finanziaria dovrebbe essere assunta dai paesi sviluppati e si chiede di triplicare entro il 2035 (rispetto a quanto mobilitato nel 2023) i finanziamenti pubblici per l'adattamento. Un punto molto importante per l'Alleanza di piccoli Stati insulari (Aosis) e per i Paesi meno sviluppati (Ldc). Allo stesso modo, se ci sono poche possibilità che si arrivi alla cifra richiesta dal Gruppo77 più Cina (500 miliardi), un accordo potrebbe essere preso sulla base di una migliore qualità dei finanziamenti. Nella bozza circolata sabato pomeriggio, però, è chiara la necessità di sovvenzioni, di un accesso facile ed equo in tutte le aree geografiche, ma non c'è nessuna richiesta esplicita. E i Paesi sviluppati non sono i soli a finanziare attraverso prestiti. Basti pensare che la Cina fornisce la maggior parte della sua cooperazione sotto forma di prestiti, sui quali i paesi in via di sviluppo pagano attualmente più di 300 miliardi di dollari all'anno solo di interessi. Restano, inoltre, molte lacune sui fondi per le perdite e i danni provocati dai cambiamenti climatici.

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