
Giornata Mondiale del Disturbo Bipolare, "circa il 60%, se non il 70% dei pazienti, riceve una diagnosi sbagliata": ecco cos'è e come distinguerlo dai

03/30/2025 03:26 AM
È come vivere su un'altalena: oggi mi sento su ma poi vado giù; e ancora su e poi giù… È questa la principale sensazione di chi deve convivere con un disturbo bipolare. Una patologia psichiatrica piuttosto diffusa di cui soffre tra l'1 e il 2% della popolazione italiana, circa 120mila persone e 80 milioni in tutto il mondo. Il 30 marzo ricorre la Giornata Mondiale del Disturbo Bipolare (World Bipolar Day).
Identikit del disturbo bipolare
"Tutti sperimentano sbalzi del tono dell’umore, più allegro in certi giorni, più cupo in altri, ma per alcune persone queste oscillazioni sono così ampie e durature da diventare un vero e proprio disturbo psichico che impatta molto sulla qualità e quantità di vita: in questi casi si parla di Disturbo Bipolare – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Claudio Mencacci, copresidente Sinpf (Società italiana di neuropsicofarmacologia) e Direttore emerito di neuroscienze al Fatebenefratelli – Sacco di Milano -. Chi ne soffre sperimenta periodi di eccitazione (fase maniacale) e periodi di depressione (fase depressiva)". Come ci indica l'esperto, abbiamo a che fare con due tipi di disturbo bipolare: il tipo 1 nel quale si alternano fasi maniacali (o ipomaniacali, ossia di eccitazione moderata) e fasi depressive; il tipo 2 caratterizzato dall'alternarsi di fasi ipomaniacali e depressive, senza che si presentino fasi maniacali vere e proprie.
Cause
Non è del tutto noto cosa scateni questo disturbo, anche se recenti studi di neurobiologia hanno messo in luce "l’esistenza di possibili alterazioni della struttura e delle funzioni cerebrali in chi soffre di disturbo bipolare dovute a una riduzione delle normali connessioni tra l’area prefrontale della corteccia cerebrale e alcune strutture profonde appartenenti al sistema limbico, come l’amigdala – spiega Mencacci -. Ricordiamo che l’area prefrontale ha il compito di governare e tenere sotto controllo gli impulsi e le emozioni elaborati a livello del sistema limbico così che, quando questo controllo non funziona correttamente, si genererebbero sbalzi di umore tipici del disturbo bipolare. Studi realizzati con la Risonanza Magnetica Funzionale hanno mostrato questa riduzione delle connessioni che potrebbe essere la conseguenza di un errore nel processo di sviluppo del cervello, in particolare della cosiddetta migrazione neuronale, quel processo che porta i neuroni a collocarsi proprio là dove devono trovarsi per un normale funzionamento".
Spesso non è riconosciuto
Il disturbo bipolare può insorgere in tutte le fasi della vita, ma "più frequentemente in età giovanile, senza particolari differenze di genere. Purtroppo – continua Mencacci – "molte volte il disturbo non viene riconosciuto o è diagnosticato in ritardo. In particolare, in Italia circa il 60% delle persone con disturbo bipolare riceve una diagnosi sbagliata e, di conseguenza, non viene trattata in modo adeguato. Con conseguenze anche gravi".
… o la diagnosi è sbagliata
Ma perché si rischia di arrivare tardivamente a una diagnosi o, peggio ancora, a sbagliarla? "La persona con disturbo bipolare, in genere, se chiede aiuto al medico o allo specialista lo fa durante la polarità depressiva. Nella fase maniacale, infatti, si sente troppo bene ed eccitata per pensare di avere qualche problema. Ecco perché la prima diagnosi, spesso, è tardiva ed errata: nella maggior parte dei casi, la depressione bipolare viene scambiata per depressione", chiarisce l'esperto.
Un errore non di poco conto: i due disturbi, infatti, richiedono trattamenti diversi. Una cura inappropriata può peggiorare la situazione e accentuare gli sbalzi dell'umore, spingendo purtroppo anche al suicidio: "Gli esperti hanno calcolato che circa il 60%, se non il 70% dei pazienti, riceve una diagnosi sbagliata e che possono trascorrere fino a dieci anni prima che si identifichi il vero problema e si inizi una cura adeguata", sottolinea lo psichiatra.
Decisiva la collaborazione della famiglia
Per ridurre il margine di errore nella diagnosi del disturbo bipolare, sarebbe sufficiente, ci spiega Mencacci, "un'approfondita anamnesi, ossia un colloquio con la persona e i suoi familiari per ricostruire la sua storia clinica personale e familiare. Lo specialista deve essere in grado di raccogliere il maggior numero possibile di elementi e di valutare la situazione nel suo insieme. Se si limita a considerare esclusivamente le manifestazioni del momento, è probabile che diagnostichi erroneamente una depressione". La collaborazione della famiglia risulta quindi fondamentale: "Spesso, il soggetto non ricorda, sottovaluta o si vergogna di certi episodi, per cui non li riferisce al medico. Ecco che allora il racconto dei suoi congiunti aiuta a completare il quadro".
Si può curare
Il disturbo bipolare può essere trattato con i farmacologi. "Quelli più utilizzati sono gli antipsicotici di seconda generazione, come, per esempio, quetiapina, olanzapina, aripiprazolo, brexpiprazolo, clozapina – indica Mencacci – che agiscono rapidamente ed efficacemente durante la fase maniacale. Alcuni, poi, sembrano essere in grado di svolgere un'azione preventiva a lungo termine". C'è poi l'altra categoria di medicinali impiegati nel trattamento del disturbo bipolare, rappresentata dagli stabilizzatori dell'umore, come i sali di litio, l'acido valproico e la carbamazepina. Queste molecole vanno assunte per lunghi periodi (anche per anni), sotto controllo medico, anche nelle fasi di remissione, per prevenire nuovi episodi di malattia. Tuttavia, la scelta del composto più adatto si basa sull'anamnesi, la valutazione clinica e la presenza di patologie concomitanti sulla storia psicofarmacologica individuale e familiare che deve essere raccolta, ricostruendo tempi, dosaggi ed eventuali associazioni, poiché rappresenta un criterio fondamentale.
La persona va supportata
I farmaci però non rappresentano l'unica cura. Questi devono essere integrati da altri interventi cosiddetti "psicoeducativi", che aiutano la persona a stare meglio e a seguire i trattamenti prescritti. In cosa consiste precisamente questo tipo di percorso? "La psicoeducazione – ci risponde l'esperto – consiste nel dare al malato tutte le informazioni per comprendere i diversi aspetti della malattia, dai sintomi ai fattori di rischio, dai farmaci utili alle conseguenze di una cura non adeguata. In questo modo, egli impara a conoscere il suo problema e a non sentirsi in colpa o inadeguato di fronte a certi atteggiamenti. Tutto questo favorisce anche l'aderenza alla cura". E, un elemento di estrema importanza, "permette di modificare – conclude Mencacci – il proprio comportamento e di imparare l'autocontrollo".
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