'Hitler era comunista', spiega Alice Weidel (AfD). Ma il primo a negarlo era lui stesso
Oggi alle 08:04 AM
Hitler era comunista: l’ultima “fake history” la dobbiamo ad Alice Weidel, leader dell’estrema destra tedesca ora targata Afd. In una surreale conversazione col nuovo campione della destra americana Elon Musk, trasmessa sul social network del multimilionario stesso, Weidel ha scaricato addirittura Hitler. Queste le sue parole: “Sai cosa ha fatto Adolf Hitler tra le prime cose? Ha limitato la libertà di espressione. Altrimenti non sarebbe riuscito a fare tutto quello che ha fatto. Hitler si definiva e si considerava comunista e socialista. Era un antisemita. Ma l'Afd è il contrario. È un partito conservatore e libertario“. Sarà. Ma Hitler, in realtà, alterò il concetto di socialismo in chiave anti-marxista e, quindi, anti-comunista.
“Perché si definisce nazionalsocialista, dal momento che il programma del suo partito è l’antitesi stessa di quello comunemente attribuito al socialismo?”, domanda a Hitler lo scrittore tedesco-americano e simpatizzante nazista, George Sylvester Viereck, in un’intervista pubblicata sulla rivista Liberty il 9 luglio 1932. Hitler risponde:
“Il socialismo è la scienza di occuparsi del bene comune. Il comunismo non è socialismo. Il marxismo non è socialismo. I marxisti hanno rubato il termine e ne hanno confuso il significato. Toglierò il socialismo ai socialisti. Il socialismo è un’antica istituzione ariana e germanica. I nostri antenati tedeschi avevano in comune alcune terre. Coltivavano l’idea del bene comune. Il marxismo non ha il diritto di camuffarsi da socialismo. Il socialismo, a differenza del marxismo, non ripudia la proprietà privata. A differenza del marxismo, non implica alcuna negazione della personalità e, a differenza del marxismo, è patriottico. Avremmo potuto chiamarci Partito Liberale. Abbiamo scelto di chiamarci Nazionalsocialisti. Non siamo internazionalisti. Il nostro socialismo è nazionale. Chiediamo che lo Stato soddisfi le giuste richieste delle classi produttive sulla base della solidarietà razziale. Per noi, Stato e razza sono una cosa sola”.
Insomma, lasciando perdere il significato di patriottico secondo Hitler e soprattutto quello di “bene comune”, salta subito all’occhio la deformazione del concetto di socialismo: il socialismo è internazionalista nell’essenza, non può esistere un socialismo nazionalista se non in un’aberrazione mostruosa come quella nazista hitleriana, appunto, che socialismo non è.
In ogni caso Hitler, che voleva togliere il socialismo ai socialisti, non si definiva comunista. E non è necessario citare il celeberrimo Mein Kampf, pubblicato nel 1925: “Nel bolscevismo russo, dobbiamo vedere il tentativo intrapreso dagli ebrei nel XX secolo per raggiungere il dominio del mondo”.
Con buona pace di Alice Weidel sul comunismo e dello stesso Hitler sul socialismo, lo storico britannico Richard J Evans in The coming of the Third Reich (Penguin, 2003) risolve la questione: “Sarebbe sbagliato vedere il nazismo come una forma di socialismo o una sua conseguenza”. Negli ultimi tempi la letteratura-spazzatura su “Hitler comunista” è divenuta un filone, ma il primo ad accostare scientificamente Hitler al socialismo, la continuità tra nazismo e socialismo, è stato l’economista austriaco liberale Friedrich August von Hayek.
Eppure, alla fine di questa sintetica ricostruzione, riecheggiano nelle orecchie di chi scrive note e parole di un antico inno: “Su lottiam! L’ideale nostro alfine sarà, l’Internazionale, futura umanità!”.
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