Il mio cattivo maestro Franco Piperno: insieme abbiamo governato Cosenza, con lui tornò viva

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Da quando Franco ci ha lasciati non riesco a trovare le parole per esprimere dei sentimenti, so solo che non è facile lasciarlo andare. Ci provo per dire che tra le prime cose che mi sono venite in mente di lui sono le api, le aveva nel suo giardino, affascinato com'era dal loro essere un sistema complesso, una comunità.

A lui mi legava un antico rapporto personale prima ancora che pubblico. Ho avuto la fortuna di incrociare un rapporto personale, direi quasi familiare, con uno pubblico, fatto d'un sentire comune, una fratellanza. Qui però voglio ricordarne l'aspetto pubblico, municipale, legato alla città di Cosenza e agli anni in cui insieme l'abbiamo governata.

Al Comune io ci sono arrivata con lui, nel 1993, assessore alla Cultura nella prima sindacatura Mancini, quando per la sua segreteria politicao/organizzativa volle una sorta di collettivo. Poi in un pomeriggio piovoso e con un Mancini furioso arrivò l'interruzione per mano di Napolitano, allora ministro degli Interni. Nel 1997, ormai a riabilitazione avvenuta, durante la seconda sindacatura Mancini, entrammo entrambi in giunta (insieme a Pierangelo Dacrema, Maria Francesca Corigliano, Franco Dionesalvi). Nel 2002 divento Sindaco, una prima giovanissima donna a guidare la città, e per me la sua presenza in giunta rappresentava un elemento del tutto irrinunciabile. Non era una reazione urticante verso i partiti ma di lui non si poteva e non si voleva davvero fare a meno. E sempre con deleghe visionarie: la cultura, le autostrade informatiche planetario e stelle con Giacomo Mancini che nel 2000 aggiunse la delega alla polizia urbana, cosa che lo divertì molto e sulla quale Toni Negri ironizzava che finalmente aveva realizzato il suo sogno: quello di essere a capo d'una banda armata.

Con me assunse le deleghe alla conoscenza, all'identità e alla comunicazione, alla Città cablata, all'Informazione e comunicazione alla radiotelevisiva comunale e per questo lavorò a quell'esperienza di comunicazione pubblica che fu il Monitore Brizio. La traccia di Franco è su tante vicende politico-amministrative della città di Cosenza. Il Centro storico iniziò a rivivere grazie a Franco in una notte di un solstizio d'estate della prima sindacatura Mancini.

Con me continuerà la riappropriazione di quel luogo con Viaggio Telecom, che non a caso di titolava viaggio tra l'eresia e l'utopia per il quale volle al corteo storico i falchi, come alla corte di Federico di Svevia, era – credo – il falco alto levato di Montale, tra i suoi versi preferiti. Il Viaggio Telecom approdò a Cosenza grazie al suo rapporto con Lina Sotis. Perché le relazioni di Franco erano fatte di un caleidoscopio di diversa umanità.

In quegli anni una moltitudine di intelligenze arrivò in città perché c'era lui: Andrea Pazienza, che disegnò i cuccioli di lupo che in quel momento vivevano nel giardino di casa sua, a Macondo, prima di essere trasferiti all'università in uno spazio del vecchio polifunzionale; Bifo, Nanni Balestrini, Toni Negri, Andrea Leoni, Lanfranco Pace, Piero Losardo del Male. Una queer family si direbbe oggi, che ad un certo punto fine anni 90 si ritrovava d'estate in una casa non lontana da qui, in un agrumeto nella piana di Sibari, quella che oggi è CoRo (Corigliano/Rossano) trasformata in una sorte di comune. Anni straordinari d'uno straordinario stare insieme. Anni di bellissime conversazioni che potevano durare dal tramonto all'alba. Per me un privilegio. Una fortuna. Anni del Condividere guardandosi negli occhi. E il confronto con gli occhi di Franco non era mai facile perché i suoi erano occhi da cui non potevi sfuggire, a cui non riuscivi a nascondere nulla.

Tante cose ci ha regalato negli anni in cui abbiamo governato insieme il municipio. Una è emblematica: la vicenda no global nel novembre 2002, la Cosenza del siamo tutti sovversivi che racconta di una connessione sentimentale con la città: quella partecipazione straordinaria questo fu insieme al rifiuto di un pregiudizio e un grido di libertà come recitava lo striscione che apriva il corteo: pensare non è reato.

C'è un episodio singolare a riguardo. Nella riunione preparatoria alla manifestazione del Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza non andai io, fu lui ad andare. Non era una provocazione come qualcuno pensò, è che davvero tra noi lui era quello con maggiore esperienza in fatto di manifestazioni e infatti il suo consiglio di prevedere un serpentone utile a stancare i manifestanti al fine di sedare gli animi fu adottato.

Sono tante le cose che ci lascia. Ci ha trasmesso l'importanza dello spirito civico, il civismo, il municipalismo è il genius loci ma anche l'elogio della soppressata, la pratica della disobbedienza e della ribellione civile, la necessità della cooperazione sociale, la riflessione su nuove pratiche di lavoro: il lavoro affettivo, creativo, immateriale, l'imprescindibilità da quella che Etienne Balibar definisce égaliberté ovvero l'inseparabilità tra eguaglianza e libertà. Oggi siamo più soli ma ricchi delle sue idee, della sua testimonianza.

Ci ha insegnato a spegnere luci, realmente e metaforicamente, per osservare meglio il cielo stellato, ci ha insegnato a saper essere liberi dai condizionamenti. dai pregiudizi come quel pregiudizio che lo ha accompagnato per tutta la vita: la retorica del cattivo maestro. Su questo io vorrei dire basta con gli aggettivi, per me è stato solo un maestro ma se proprio è necessario il ricorso all'aggettivazione allora la la dico con l'aforisma di un anonimo provenzale: ho avuto cattivi maestri, è stata un'ottima scuola.

In un'intervista fatta a Toni Negri gli fu chiesto quale fosse il suo più grande rimpianto
"Sono spinozista, rispose, la speranza e la disperazione le ritengo cose dubbiose, senza consistenza. Ma forse il vero rimpianto è di non aver visto ancora una moltitudine di cattivi maestri".

Ciao Franco!

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