Il mio giardino persiano, la ribelle storia di un amore in Iran. Sintesi e perfetta unione tra romanticismo e politica
Oggi alle 06:11 AM
Genuino, tenero, clandestino. Il mio giardino persiano è un caloroso, improvviso e rallentato menage a deux, sintesi e perfetta unione tra romanticismo e politica. Storia semplice quella dalle single 70enne Mahin (Lily Farhadpour) in una spoglia, sfocata (sullo sfondo) e trafficata Teheran di oggi. Gli acciacchi dovuti a qualche chilo di troppo. I figli migrati all'estero da tempo. I pranzi divertiti con le amiche anch'esse sole. La vedovanza solitaria e buffa, punteggiata da telefonini invadenti e ingestibili, in un largo appartamento al pianterreno con davanti un rigoglioso e nascosto giardino. Mahin però ha visto tempi migliori. E non perché la nostalgia sia per forza canaglia. Ma perché "prima della rivoluzione" (khomeinista) le donne vivevano con maggiore libertà sentimenti, passioni ed esposizione del proprio corpo in pubblico. Ora, invece, Mahin sembra essere un (s)oggetto di antiquariato in mezzo ad un islamismo sociale e culturale esasperato. Tanto che la donna in uno strambo giretto in un parco si frapporrà tra un agente della polizia morale e una ragazzina con mezzo velo sulla testa (in Iran vige l'hijab), chiedendo di essere arrestata lei al suo posto. Attenzione il tono delle parole e delle azioni di Mahin è sì risoluto ma sotterraneamente comico, irradiato da una tonalità dolceamara di illusioni perdute.
Poi un giorno in un ristorante dove va a consumare dei buoni dello stato (il marito era medico ma membro dell'esercito) è come colta dall'insostenibile leggerezza di un colpo di fulmine. Sente dai tavoli vicini che Faramarz (Esmail Mehrabi) un attempato taxista coi baffi è solo, così lo segue fuori dal locale e quando il signore sta finendo il turno gli si avvicina e gli chiede, corteggiamento altamente punibile dalla legge coranica, di portarla a casa. Poco prima di metà film, Il mio giardino persianosi trasferisce completamente in un interno sera/notte – l'appartamento della protagonista – dove Mahin e Faramarz chiacchierano, bevono del proibitissimo vino da un bottiglione, mangiano frutta e dolci, siedono nel giardino tra menta, cedri e gelsomini, ascoltano musica e ballano come ragazzini in barba alla pericolosa vicina spiona.
L'inevitabile tragedia è dietro l'angolo, ma questa amarezza ilare che trasmette Mahin, disperata senza mai perdere la dignità, la rende palpitante eroina minimal sentimentale e allo stesso tempo donna combattiva e resistente con sete di egualitarismo e libertà. Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha dirigono con mano sicura la Farhadpour assoluta protagonista di primi piani, mezzi busti, figure intere sfuocando continuamente i fondali oltre le sue spalle, quasi che la storia si staccasse magicamente dallo sfondo per impregnarsi di un frontale iperrealismo. Infine, dopo tanta incrinata e vibrante staticità di stile, con un deciso movimento di macchina Moghaddam e Sanaeeha girano un timido delizioso piano sequenza danzereccio che esalta il piacere della vita e apre altresì uno squarcio sull'assurdità della morte. Iniziato a girare poche settimane prima l'esplosione del movimento di protesta femminile nelle piazza iraniane, i registi e gli attori hanno lavorato in una sorta di continua semi-clandestinità soprattutto per gli esterni. Farhadpour è un'attivista e giornalista già arrestata e processata nel recente passato dal tribunale morale dell'Iran. Mentre Moghaddam e Sanaeeha hanno passato parecchi guai con lo stato islamico per il loro precedente film Ballad of a white cow sulla pena di morte. In sala grazie ad Academy Two.
L'articolo Il mio giardino persiano, la ribelle storia di un amore in Iran. Sintesi e perfetta unione tra romanticismo e politica proviene da Il Fatto Quotidiano.