L'abito da sposa più sostenibile? Si fa con i vecchi corredi: tovaglie e lenzuoli diventano pezzi unici. La storia di Angela Carosone

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C'era una volta il corredo, che accompagnava le ragazze verso il matrimonio. Adesso, è proprio il corredo a far nascere gli abiti da sposa di nuova generazione, personalizzati e sostenibili. Ma anche camicie, top, prendisole e abiti da sera. Merito dell'intuizione di Angela Carosone e del suo brand Ancòra (anzi: an cò ra, come vuole il logo ufficiale, sillabato) specializzato nella creazione di capi unici con tessuti recuperati da tovaglie, asciugamani e corredi antichi.

 Quella di Angela Carosone è una storia di ritorni e nuove partenze, di amore per l'ambiente e rispetto per la tradizione. Ma soprattutto, è la storia di come con un po' di visione e tanta (tanta) manualità, si possa trovare un modo più consapevole e responsabile di fare moda. Il suo percorso nella moda è iniziato con un master come ricercatrice di tendenze a Milano e poi lavorando per altri brand, come Les Copains e Antonio Marras. "Ad un certo punto sono dovuta ritornare a casa mia, in Molise, e poco dopo ho fatto un corso sulla moda sostenibile di Out Of Fashion: è durato solo un anno, ma mi ha aperto gli occhi sullo stato del sistema".

Nuova vita al corredo – Quella nuova presa di consapevolezza l'ha portata a guardare con occhi diversi una tradizione ben consolidata ancora al centro e sud Italia: il corredo. "Ormai nessuno li usa più, quindi spesso i nipoti, quando svuotano le case, finiscono per essere buttati". Un peccato, perché sono lini e cotoni pregiati e ricamati a mano: "Ho provato a creare dei vestiti recuperando questi tessuti già esistenti, anziché comprarne di nuovi. Ho iniziato con tovaglie e copriletti trovati nei mercatini, ora ho dei fornitori veri e propri: compro stoffa destinata ad altro uso che poi riutilizzo per farne vestiti".

 L'esperimento ha funzionato e nel 2023 è nato il marchio Ancòra (an cò ra), specializzato nel recupero di corredi antichi trasformati dalle mani di Angela Carosone in abiti, camicette, top e completini coordinati. Il nome, spiega, gioca sull'ambiguità del termine: "È un richiamo al passato, ma è anche un'ancora di salvezza in quest'epoca di sovrapproduzione e sprechi".

Carosone lavora nel suo laboratorio a Vasto e cura da sola ogni aspetto del brand, dalla ricerca dei materiali alla gestione della comunicazione. "Mi hanno aiutato tantissimo i social, e la situazione mi è un po' esplosa tra le mani", dice sorridendo "Una delle micce è stata Diego Passoni di Radio Deejay: ho realizzato due camicie, per lui e per il marito, partendo dallo stesso lenzuolo". Decisiva è stata la partecipazione a Pitti, nel 2024, che gli ha spalancato moltissime porte e l'ha messa in contatto con negozi in Italia e all'estero: a Milano è arrivata in Rinascente con un corner dedicato.

Gli abiti da sposa sostenibili con materiale di recupero– Proprio dal Pitti è arrivata una grande intuizione: trasformare corredi e tovaglie in abiti da sposa sostenibili. "Non ci ho pensato io – rivela – mi ci hanno fatto pensare al primo Pitti a cui ho partecipato. Avevo un abito esposto lungo il corridoio, le persone si avvicinavano e mi dicevano: peccato mi sia già sposata, altrimenti l'avrei usato all'altare. L'avrò sentito almeno quindici volte e mi sono detta: perché no?". Dalle molte richieste delle sue clienti sono nati abiti eterei e contemporanei, facili da indossare ma opulenti nella bellezza dei pizzi, dei ricami e dei dettagli.

"In realtà è una cosa che appartiene al nostro passato – spiega la designer – una volta molte donne, specialmente in campagna, sacrificavano il pezzo più bello del corredo per farsi l’abito da sposa con l'aiuto di una mamma o di una zia sarta". 

Oggi il settore spose è molto cambiato e offre diverse alternative alle donne, dall'atelier al su misura, fino al vintage a elle linee pret-à-porter in budget. "Il vestito da sposa è l’abito più insostenibile al mondo – sottolinea Carosone – nel senso che richiede tantissimo tessuto e dopo le nozze non lo userai mai più".

 Anche se le alternative sostenibili – come il noleggio – iniziano ad arrivare anche da noi, in Italia è molto forte il valore sentimentale dell'abito da acquistare (anche a caro prezzo) e custodire tutta la vita. All'estero, invece, la situazione è diversa: "I giapponesi e gli americani che si vengono a sposare in Italia amano molto quest'idea, impazziscono per i corredi antichi a cui non sono abituati, non è nella loro cultura". Gli abiti da sposa upcycled di Ancòra hanno anche il vantaggio di essere pezzi unici, e di poter essere personalizzati in base alle esigenze della cliente. "Hanno un impatto minimo, direi zero, e si possono tranquillamente riutilizzare dopo le nozze con altri accessori".

Il valore dell'upcycling– Ancòra è un ottimo esempio di upcycling, un concetto che sta prendendo sempre più piede nella moda: prendere ciò che esiste già e trasformarlo in qualcosa di nuovo attraverso un atto creativo. Fargli fare il salto di qualità sintetizzato dall' "up" del termine. Miu Miu, per esempio, ha un intera linea upcycled, mentre realtà come Vitelli lavorano con i deadstock (capi e tessuti di magazzino mai utilizzati). Più che una tendenza è una necessità, vista la quantità di rifiuti tessili che si stanno accumulando nel mondo. Solo perché una fibra è naturale, come il cotone, non significa che non abbia nessun impatto sul pianeta: servono enormi quantità di acqua, e spesso di pesticidi, per crescerlo. E altrettanta chimica per trasformarlo in un paio di jeans o in una t-shirt. Ignorare i costi della moda sull'ecosistema è, nella migliore delle ipotesi, miope. Per non dire folle.

Il brand Ancòra mostra un modo alternativo non solo di pensare agli abiti, ma anche di realizzarli: "Spesso quando si progetta un vestito si progetta il vestito e poi si compra la stoffa. Nel mio caso è il contrario: è sempre la stoffa a decidere". Gli abiti di Ancòra hanno un range di prezzi che va dai 200 agli 800 euro, per i capi più elaborati; mentre ci si muove su cifre leggermente superiori per i vestiti da sposa, in cui incide il tipo tessuto (magari la seta) e la personalizzazione. La cliente tipo? "Una donna tra i 40 e i 60 con un certo tipo di gusto, che ama il pezzo unico e spesso – lo dico con una pietra sul cuore – straniera".

L'articolo L'abito da sposa più sostenibile? Si fa con i vecchi corredi: tovaglie e lenzuoli diventano pezzi unici. La storia di Angela Carosone proviene da Il Fatto Quotidiano.

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