Lavoro, stretta del governo all'indennità di disoccupazione: "Finalità anti-elusiva". Ma la norma rischia di discriminare i lavoratori

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Tra gli emendamenti alla manovra che la maggioranza ha presentato in Commissione bilancio alla Camera c’è un nuovo regalo ai lavoratori. La logica è ormai consolidata: il contrasto ai furbetti e in particolare a “quelli della Naspi“, che passano la vita a dimettersi, a farsi assumere e ad andarsene un’altra volta per ottenere, appunto, l’indennità di disoccupazione o evitare al datore di pagare il ticket dovuto per il licenziamento. E siccome per il governo è sufficiente l’occasione a trasformare ogni lavoratore in un furbetto, meglio colpire tutti, come fa l’emendamento che modifica il vigente decreto legislativo 22/2015 (Jobs act). Se confermato, negherà l’indennità a chi viene licenziato entro le prime 13 settimane qualora si fosse dimesso dall’impiego precedente. Il nesso tra dimissioni e licenziamento? Il furbetto, appunto. Chi non lo è s’attacca: se ti sei dimesso volontariamente perché volevi cambiare lavoro e con quello nuovo qualcosa va storto, entro i primi tre mesi sei scoperto dalla tutela della Naspi. Col rischio che questo ti renda più ricattabile, ma anche che finisca per discriminarti.

La novità “ha una finalità anti-elusiva”, ha spiegato la ministra del Lavoro, Marina Calderone, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Per chi non vede furbetti ad ogni angolo di strada, invece, siamo di fronte a una “non banale restrizione al riconoscimento del trattamento di disoccupazione”, scrive il giuslavorista Marco Menegotto su Adapt. “Risulterebbero invece qui penalizzati quei lavoratori che avessero optato per cambiare attività lavorativa (dimissioni volontarie) e si vedessero ad esempio licenziati, per qualsiasi motivo, prima di un anno, dal successivo datore di lavoro con il quale avessero stipulato un nuovo contratto a tempo indeterminato”, ragiona, invitando a considerare ipotesi come il licenziamento collettivo, dove i suddetti lavoratori potrebbero essere selezionati proprio a causa della norma. O come il mancato superamento del periodo di prova. Furbetti o no, la norma li esporrebbe più degli altri al licenziamento, discriminandoli sulla base del precedente rapporto di lavoro, qualunque fosse la ragione delle dimissioni. Per questo Mengotto ritiene che “una riflessione, almeno sul piano dei casi eccezionali e "limite" può (e dovrebbe) ancora farsi”.

Ma “le manovre sono così, la costruzione dei testi che incidono sul bilancio dello Stato è molto complicata, non bastano soltanto le idee”, ha spiegato la deputata di FdI Ylenja Lucaselli, uno dei quattro relatori alla manovra. Per darle ragione basta leggere l’emendamento in questione, che infatti è incomprensibile tanto che alcuni hanno capito fischi per fiaschi, convinti che il governo intendesse estendere la Naspi ai lavoratori dimissionari. La perla, dunque: “con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, possano far valere, almeno tredici settimane di contribuzione dall'ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni volontarie, anche a seguito di risoluzione consensuale, fatte salve le ipotesi di cui al comma 2 e di dimissioni di cui all'articolo 55 del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151. Tale requisito si applica a condizione che l'evento di dimissioni sia avvenuto nei dodici mesi precedenti l'evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione”. Tradotto in italiano, chi si è dimesso e nei successivi 12 mesi è stato licenziano da un altro lavoro, per accedere alla Naspi dovrà aver accumulato almeno 13 settimane di contribuzione. Sennò ciccia e toccherà consolarsi sapendo di aver contribuito alla strenua lotta del governo contro furbi, scrocconi e divanati di ogni sorta.

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