Le storie dei valenciani costretti a lavorare con la Dana: la logica del profitto si oppone alla vita

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Mercoledì 30 ottobre il proprietario di un ristorante al centro commerciale Bonaire di Aldaya (Valencia) contatta le dipendenti. Chiede cosa abbiano fatto coi soldi in cassa del giorno precedente. Solo che martedì 29 ottobre non è stato un giorno normale; è il giorno dell'alluvione nella Comunità Valenciana, quella che ha già strappato più di 220 vite.

"Nelle ore successive [a Dana, il proprietario] si è preoccupato prima e più dei soldi, dell'inventario del negozio, che della sicurezza di noi dipendenti. Ci ha chiesto cosa fosse successo col denaro, se avessimo chiuso la cassa", così Barbara, lavoratrice del ristorante, intervistata su Cadena Ser. "Abbiamo rischiato la pelle per vendere quattro menù in più", ha aggiunto.

Il 4 novembre Fabián, elettricista, intervistato da Rtve: "Mi chiama il capo alle 7:30 del mattino, molto irritato chiedendomi perché non mi trovi a lavoro, dicendomi che il mio obbligo è stare lì alle 7 del mattino e che chieda a qualche vicino che mi ci porti se non posso arrivare da solo. La mia auto è distrutta, l'ho ritrovata dieci strade distante da dove l'avevo lasciata".

Niente metro, niente autobus, Fabián non ha più auto. Sta aiutando nel suo quartiere a ripulire dal fango. Nonimporta: per il capo deve andare al lavoro (il sindacato CC.OO. afferma che la sola comunicazione dell'impossibilità di uso del trasporto pubblico vale a giustificare l'assenza, sebbene non permetta di accedere a permessi retribuiti).

Mercadona è la più grande catena di supermercati di tutta la Spagna. I suoi furgoni si vedono in diversi video lo stesso martedì 29 ottobre – il giorno dell'alluvione – travolti dalle acque. Gli autisti erano a lavorare malgrado l'allerta meteo perché Mercadona non aveva messo in campo alcun meccanismo di prevenzione (in sintonia col presidente della Comunitat Valenciana CarlosMazón, del Partido Popular – Pp). E se nei video non riuscirete a leggere la scritta "Mercadona" sui furgoni non è per una forma di miopia; è grazie alla premura dei media che vogliono bene a Mercadona e hanno pixellato il logo, così da occultare le responsabilità aziendali.

Le stesse scene di autisti circondati dall'acqua si sono ripetute il 30/10 a Jerez de la Frontera (Cádiz) e il 4/11 a Baix Llobregat (provincia di Barcellona). Non si impara nemmeno dalle stragi. Mercoledì 30 ottobre, María José Catalá, sindaca di Valencia del PP, ai microfoni di Rtve, sorrideva: "grazie alla solidarietà di molte imprese. […] Anche Mercadona ha fatto di tutto per aiutarci, per fornire colazioni e alimenti". Il potere mediatico occulta le responsabilità del potere economico; quello politico corre addirittura a ringraziare.

Inditex è una multinazionale spagnola fondata da Amancio Ortega, uno degli uomini più ricchi del pianeta. Fattura quasi 30 miliardi all'anno, quanto una manovra di bilancio in Italia, e possiede noti marchi internazionali: Zara, Pull & Bear, Bershka, ecc.

Ha annunciato di aver donato 4 milioni alla Croce Rossa a sostegno delle vittime di Dana. Secondo la sindacalista della Intersindical Valenciana, Beatriu Cardona, le lavoratrici dei negozi di Inditex non sono riuscite a uscire in tempo perché non si erano rese conto dell'allerta rossa. Com'è possibile? Cardona spiega che "è loro proibito portare i cellulari personali con sé" e le responsabili dei negozi, che invece hanno accesso ai dispositivi, non le hanno avvisate.

Si potrebbe continuare ancora a lungo coi nomi di altre imprese e le testimonianze di decine di lavoratori e lavoratrici. Che lamentano, a ragione, "la poca umanità ed empatia", come denunciato da Barbara.

A chi si chiede cosa avrebbero potuto fare le imprese, dato che Mazón non aveva dato l'allarme fino alle 20:00, la risposta sta nelle norme dello Stato spagnolo. Che prevedono un diritto per i lavoratori ("un lavoratore può abbandonare il proprio posto di lavoro in caso di pericolo grave e imminente", Legge sulla Prevenzione dei Rischi Lavorativi simile all'articolo 44.1 del D. Lgs 81/2008 in Italia: "Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa") e un obbligo per gli imprenditori: quello di agire quando i lavoratori siano o possano essere in pericolo.

Le imprese avrebbero dunque dovuto permettere ai dipendenti di lasciare il proprio posto di lavoro, a maggior ragione laddove erano gli stessi lavoratori a rivendicarlo. Non l'hanno fatto. Di fronte agli allarmi di Aemet, il Centro Meteorologico, che anticipava il peggiore degli scenari possibili, hanno deciso di proseguirenormalmente. Hanno fatto prevalere, una volta di più, la logica del capitale. Che cozza con quella della prevenzione.

È la stessa logica in azione all'epoca della strage sanitaria da Covid. In Italia il 28 febbraio 2020 Confindustria Bergamo pubblicava un video tristemente famoso: #BergamoIsRunning. L'obiettivo, come confessato dai vertici degli industriali, era tranquillizzare "i partner internazionali". Il rischio nella zona "è basso", si diceva. E si provavano a rassicurare i partner asserendo che l'Italia avesse già adottato sufficienti misure di protezione, fino al capolavoro de "le operazioni delle nostre aziende non sono contagiose".

Eppure i contagi avevano già iniziato a moltiplicarsi: 20 nuovi casi il 26 febbraio; 72 il 27 febbraio; addirittura 103 il 28 febbraio, il giorno del messaggio di Confindustria.

All'epoca gli unici che osarono rivendicare e imporre le chiusure (e non la "normalizzazione", attraverso la firma di protocolli per la sicurezza condivisi dalle parti sociali) furono i lavoratori. Mossi da un'altra logica, opposta a quella del capitale: quella della vita opposta alla logica del profitto.

La domanda è: al servizio di quale delle due lavora il potere politico?

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