"Negata un'esistenza libera e dignitosa", così la procura di Milano ha indagato le cooperative che forniscono lavoratori ai teatri

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Lavoratori sfruttati e con paghe davvero da fame. Per stipendi al di sotto della soglia di povertà, con retribuzione netta di poco meno di 5 euro a quasi 6 euro e 50, la Procura di Milano – come riporta l’Ansa – ha disposto il controllo giudiziario in via d'urgenza con la contestuale nomina di un amministratore giudiziario della società Cooperativa Fema che fornisce personale per eventi e per i servizi museali.

Il provvedimento, che dovrà essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari, è stato firmato dal pm di Milano Paolo Storari, il quale ha accusato il presidente di Fema di caporalato in quanto avrebbe reclutato, fino al luglio dell'anno scorso, “manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori“. La cooperativa, che ha come committenti, si legge nell'atto, i più importanti enti culturali a livello internazionale (tutti estranei all'indagine), come le fondazioni del Piccolo Teatro, del Teatro alla Scala, de I Pomeriggi Musicali, de La Società dei Concerti, dell'Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico e del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica, e poi l'Orchestra Filarmonica della Scala e la Fiera di Milano, non è l'unica ad essere finita nel mirino della magistratura. Ci sono anche le cooperative Domina e Socoma, i cui vertici risultano indagati, ma che però non sono state oggetto del decreto in quanto hanno adeguato gli stipendi agli standard previsti dalla legge con aumenti fino al 40 per cento.

Nel provvedimento del pm Storari, che ha già indagato su casi simili di sfruttamento del lavoro nel settore dei servizi di vigilanza privata, ma più in generale anche della logistica e della moda, vengono riportate le testimonianze a verbale dei lavoratori ai quali non sarebbe stata garantita “un'esistenza libera e dignitosa” con quella paghe pure da meno di 5 euro all'ora. Una donna, che lavorava per Fema (la cooperativa conta 492 lavoratori), ha raccontato a verbale, lo scorso luglio, che la sua “retribuzione attuale non basterebbe per vivere”, dato che “al mese percepisco all'incirca 600 euro netti” e “non riesco a capire – ha detto – come sia possibile che uno Stato accetti che una retribuzione sia così bassa”.

Un altro lavoratore ha spiegato di essere “costretto in questo momento a mantenere questo impiego” e molti di quelli sentiti, nelle indagini dei carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro e della Dda guidata da Marcello Viola e Alessandra Dolci, hanno raccontato di riuscire a vivere solo grazie all'aiuto di mariti, mogli o familiari. Altri, come una “maschera” che lavora a teatro, hanno messo a verbale di aver dovuto contemporaneamente “svolgere anche altri lavori”.

Altri ancora, poi, hanno fatto presente che alla loro età non avrebbero avuto “molte alternative lavorative”. Simili le dichiarazioni di lavoratori delle altre due cooperative al centro delle indagini, la Domina (con committenze anche dal Comune e dall'arcidiocesi di Milano, oltre che dalla Procura e dal Tribunale, tutti estranei all'inchiesta) e la cooperativa SoCoMa (anche in questo caso i committenti non sono indagati). Queste due società, però, tra ottobre e dicembre scorso hanno adeguato gli stipendi e non sono state oggetto del decreto, basato sulla più recente giurisprudenza, civile e penale, e sui principi costituzionali. Il pm parla di una “situazione di illegalità” ai danni di “lavoratori in stato di bisogno” e che “è indispensabile far cessare al più presto”. Il decreto d'urgenza dovrà essere convalidato dal gip. Per Fema è stato nominato un amministratore giudiziario al fine di arrivare alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro.

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