Ripepi, il "santone" e consigliere di Ap condannato: "Disse alla madre di una vittima di violenza di non denunciare"

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“La pena andava da zero a 4 anni. Sono stato condannato a 6 mesi con le attenuanti generiche. Diciamo il minimo della pena". Nonostante la frase surreale, il consigliere comunale di Reggio Calabria Massimo Ripepi ha preso con ottimismo la decisione del Tribunale di Reggio Calabria che lo ha condannato al termine del processo di primo grado. È stato lo stesso consigliere di centrodestra, che è anche coordinatore regionale di Alleanza popolare, il movimento di Stefano Bandecchi, ad annunciare con una diretta su Facebook l'esito del processo dove stato giudicato colpevole di favoreggiamento personale. Una storia che non ha nulla a che vedere con la politica. Piuttosto con il suo ruolo di pastore di una chiesa cristiana. In sostanza, Ripepi avrebbe "aiutato a eludere le investigazioni" un soggetto, oggi deceduto, che era stato accusato di violenza sessuale ai danni della propria nipote, una bambina di 10 anni.

I fatti risalgono al 2020 quando, alla madre della vittima, che si recò da "Ripepi (pastore presso una comunità religiosa di culto cristiano fondata da Gilberto Perri) per ottenere conforto, consiglio e sostegno nel denunciare quanto saputo", il consigliere comunale "la invitava a non parlare con nessuno dell'accaduto" e "la convinceva a non denunciare in quanto il fratello, già condannato e detenuto per reati di natura sessuale, non sarebbe sopravvissuto a un nuovo arresto e sarebbe stata responsabile del sangue di suo fratello".

Inoltre, stando alla ricostruzione del pm Marika Mastrapasqua che ha coordinato le indagini, il politico locale e pastore avrebbe tranquillizzato la donna dicendole che "si sarebbe occupato lui di aiutare" l'uomo, sospettato di avere abusato della nipote, "a sconfiggere il 'demone' che lo affliggeva". E ancora: Ripepi "la invitava reiteratamente ed in più occasioni a non parlare con nessuno dell'accaduto e ad assicurarsi che la figlia (cioè la vittima, ndr) non lo raccontasse a sua volta", si legge nel capo di imputazione per il quale il giudice monocratico Pina Porchi lo ha condannato a 6 mesi di carcere, a fronte degli undici mesi chiesti dalla la procura.

Se questa è stata la cronaca giudiziaria del primo grado, la "tele-cronaca" di Ripepi sui social è tutta un'altra storia, fatta di magistrati "molto bravi", ma che se ne vanno lasciando il posto (e forse anche il convincimento "legittimo" della sua colpevolezza) ad altri, e pm che – a suo dire – avrebbero voluto chiedere l'assoluzione ma alla fine hanno invocato 11 mesi di carcere. "Questo processo – ha affermato infatti il consigliere di Alternativa popolare – è stato fatto in 4 anni e sono cambiati tre giudici. C'è stato un giudice napoletano, molto bravo, che ha seguito il 95% delle udienze. Dopodiché è stato trasferito e c'è stato un altro giudice che ha seguito un'udienza. Dopo è cambiato di nuovo il giudice ed è arrivata una dottoressa che ha fatto solo un'udienza con le arringhe finali e poi, leggendo le carte senza…, ha fatto la sentenza. Ovviamente questo è legittimo".

Al netto delle lamentele velate sul cambio "legittimo" dei magistrati, sembra che il consigliere comunale, in questi anni, abbia confuso l'aula di tribunale in cui si sono celebrate le sue udienze. Ascoltandolo, infatti, pare che il processo fosse finito già in fase istruttoria e che, in fondo, è stato solo sfortunato: "Dal punto di vista delle testimonianze, è andato benissimo – dice – Io ho avuto modo di parlare con tantissimi amici, persone che mi chiedevano come fosse andata questa cosa e io ero contentissimo perché veramente poi, alla fine, la verità viene sempre fuori. E devo dire che la verità processuale è venuta fuori dal processo in tutti i modi: con le intercettazioni, con testimonianze dell'accusa che sono state favorevoli. Però questa dottoressa (il giudice, ndr) si è fatta legittimamente un convincimento".

Persino il pubblico ministero che ha chiesto la sua condanna durante la requisitoria gli avrebbe dato soddisfazione: "Il pm, nell'arringa finale, addirittura ha detto: 'Io avrei chiesto tranquillamente l'assoluzione'". Purtroppo, però, alla fine "ha posto, come elemento della richiesta di condanna a 11 mesi, una sentenza di Cassazione su un prete di Napoli che secondo lui era similare al caso di Ripepi. Ha detto che, se non avesse trovato questa sentenza, la sua richiesta sarebbe stata di assoluzione".

Sfiorata la vittoria su tutti i fronti, quindi, il consigliere comunale non si arrende: "Accetto questa sentenza. Continuerò a difendermi nel secondo e terzo grado. Le sentenze non si discutono, ma sono assolutamente innocente. Ho fatto solo il bene di questa famiglia. Non so perché è successo: ci sarà stato un momento di debolezza e mi hanno accusato di questa cosa. Non mi pento di averlo fatto e lo rifarei ancora. Io continuerò a combattere nel nome del Signore Gesù Cristo per la causa della verità, della clemenza e della giustizia. Perché i giusti devono fare i giusti e i malvagi devono fare i malvagi. Poi ci saranno i conti e come tutti i cristiani sanno e credono, i conti non li fa un uomo. Qua giudicano gli uomini, in un senso o nell'altro. I conti poi li farà il Signore che separerà i giusti dai demoni".

E Ripepi sa già da quale parte gli toccherà stare: "Non sono nemmeno degno di nominarlo l'apostolo Paolo. Gesù in primis ha patito perché è stato annoverato tra i malfattori. I nostri apostoli facevano il bene in maniera gloriosa e venivano bersagliati da tutte le parti, con prove e accuse terribili. Io sono un piccolissimo cristiano e, quindi, non mi meraviglio se, in quota parte, anche io devo vivere questa esperienza di sofferenza". Insomma, il consigliere comunale di Reggio Calabria è in buona compagnia. Almeno fino al processo di secondo grado.

L'articolo Ripepi, il “santone” e consigliere di Ap condannato: “Disse alla madre di una vittima di violenza di non denunciare” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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