'Roma Termini' di Najwa Bin Shatwan: gli italiani sotto la lente di una scrittrice libica

https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2024/06/13/Screenshot-2024-06-13-122138-1050x551.jpg

di Federica Pistono

La letteratura libica è ancora poco nota in Europa, eppure sono numerosi gli scrittori e i poeti libici che potrebbero competere con i grandi nomi della letteratura non solo araba. Fra questi, figura certamente Najwa Bin Shatwan, già nota al pubblico italiano per la pubblicazione del suo primo romanzo I recinti degli schiavi (Atmosphere, 2023).

Recentemente, un nuovo libro dell'autrice libica è apparso nelle librerie italiane: si tratta di Roma Termini (emuse, 2024), ambientato a Roma e incentrato sullo sguardo che gli immigrati gettano sulla società italiana.

Il libro rappresenta una novità perché ci offre un'immagine dell'Italia del tutto inedita, filtrata dallo sguardo di una scrittrice non soltanto straniera, ma proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo. Najwa Bin Shatwan è infatti una scrittrice e accademica libica, che ha al suo attivo cinque romanzi e diverse raccolte di racconti, saggi e opere teatrali. È stata la prima autrice libica a essere selezionata, nel 2017, dall'International Prize for Arabic Fiction, ed è vincitrice di innumerevoli premi letterari, fra i quali il premio italiano John Fante.

L'opera ci porta dunque a Roma, in un quartiere adiacente alla Stazione Termini, a incontrare Natasha, una giovane immigrata ucraina che lavora come badante nella casa di un'anziane donna italiana, destreggiandosi tra i capricci della datrice di lavoro e delle sue amiche, le vicende agrodolci di un vicinato intrigante e una relazione con un ricco medico, che potrebbe forse offrirle un futuro migliore del presente.

La vicenda del personaggio consente all'autrice di allargare lo sguardo alla società italiana contemporanea per trattare tematiche di stretta attualità, come i diritti dei lavoratori immigrati e il divario economico tra le generazioni anziane e quelle più giovani. Nell'affresco dipinto dall'autrice, infatti, la società italiana appare inadeguata a risolvere i gravi problemi che l'affliggono: è incapace di garantire condizioni di lavoro dignitose ai lavoratori, ma non si è rivelata neppure in grado di assicurare ai giovani una vita agiata come quella vissuta dai genitori e dai nonni.

La popolazione appare infatti attraversata da diverse fratture, soprattutto da quella sociale, che separa chi gode dei diritti civili da chi non si vede riconoscere alcun diritto, e da quella generazionale, che contrappone i giovani agli anziani. Le donne accudite da Natasha, pur vulnerabili e patetiche, sono viziate e prepotenti, convinte di essere al centro del mondo. Non comprendono i problemi delle generazioni più giovani, né, a maggior ragione, sono in grado di capire gli stenti e le difficoltà in cui si dibattono le lavoratrici immigrate, pur vivendo a stretto contatto con loro.

Le donne anziane, assistite dalle badanti straniere, vivono recluse nei vasti e lussuosi appartamenti nei quartieri del centro della capitale, sono terrorizzate da ladri e rapinatori, ma anche da una società multietnica in continuo cambiamento nella quale sono incapaci di riconoscersi; pur afflitte dalla solitudine, dagli acciacchi, dalla paura della morte, dall'assenza di figli e nipoti, spesso emigrati all'estero in cerca di una vita migliore, non riescono a sbarazzarsi delle lenti miopi del razzismo e della discriminazione sociale per osservare la realtà che le circonda.

L'opera ritrae dunque un mondo occidentale, non soltanto italiano, che, in molti frangenti, mostra non solo di aver perduto la capacità di provare empatia verso i più deboli, vittime di una diaspora che ha disperso ai quattro angoli del globo i popoli più martoriati, ma anche di aver marginalizzato le generazioni divenute adulte dopo la fine dell'espansione economica.

Se la generazione degli ottantenni è oggetto di un ritratto senza sconti, neppure i personaggi più giovani offrono un quadro edificante. Il medico romano di cui s'innamora l'ingenua protagonista è un astuto manipolatore che non esita a ingannare l'immigrata ucraina, approfittandosi della scarsa esperienza e dello stato di bisogno della giovane donna. Camelia, la vicina della porta accanto, si affretta ad appropriarsi dell'eredità della compagna defunta e a trasferirne in un ospizio la vecchia madre. La badante stessa, pur interpretando il più delle volte il ruolo della vittima innocente, non perde mai l'occasione di raggirare la datrice di lavoro, portando un uomo in casa di notte.

Pur affrontando tematiche complesse, talvolta drammatiche, il testo appare venato di un umorismo nero che rende la lettura leggera e scorrevole, grazie anche allo stile colloquiale e al ritmo narrativo coinvolgente.

*Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

L'articolo ‘Roma Termini’ di Najwa Bin Shatwan: gli italiani sotto la lente di una scrittrice libica proviene da Il Fatto Quotidiano.

×