"Vivo all'estero perché lavoro con la canapa. In Italia clima repressivo sulla cannabis, ma il proibizionismo ha sempre fallito"
Ieri alle 02:48 AM
Una filieraagricola da mezzo miliardo di fatturato, circa 50mila pazienti in cura, almeno 800 negozi specializzati in prodotti derivati. Dopo l'introduzione del Ddl sicurezza e del nuovo Codice della strada, l'industria della canapa si sente sotto attacco, e con lei i fruitori di Thc e Cbd (due dei principi attivi della cannabis). E così i grandi imprenditori si preparano alla fuga, e chi già lavora nel settore all'estero vede sfumare la speranza di tornare in Italia. Come Alessandro Piumatti, responsabile del mercato italiano e tedesco della Green House Seed Company di Arjan Roskam, una delle banche di semi più prestigiose al mondo, con sede legale ad Amsterdam. "Queste strette non fanno male solo alle imprese, ma anche ai cittadini. Non dev'essere una battaglia ideologica: è la scienza a dimostrare i benefici di questa sostanza. Finché questo non verrà riconosciuto – spiega Piumatti, che ha 44 anni e viene da Cuneo – chi come me lavora con la canapa dovrà fuggire dall'Italia".
Secondo Alessandro, chi vuole criminalizzarla non l'ha mai provata. "Io l'ho scoperta a 21 anni: mi ha aiutato a uscire dalla depressione e a combattere l'ansia, mi ha permesso di lavorare psicologicamente su me stesso. È una pianta dal potenziale enorme, e ogni varietà ha effetti e beneficidiversi". Virtù ben note alle migliaia di persone che la utilizzano a scopo terapeutico in Italia, e che lo scorso 23 dicembre hanno presentato una diffida al governo e richiesto la convocazione di un Tavolo tecnico entro il 20 gennaio, per consentire ai malati in cura di mettersi al volante senza timore di sanzioni. "Vederli uniti è bello, hanno il mio sostegno. È fondamentale che ci sia coesione in un settore ancora oggi colpito dai pregiudizi di una classe politica reazionaria".
Un affiatamento che anima anche il gruppo di italiani all'estero che gravita intorno ad Alessandro e alla Green House, guidata per anni anche dall'italiano Franco Loja, genetista e attivista premiato a livello internazionale. "Ho avuto il privilegio di lavorare al suo fianco e di vedere nascere intorno a lui una vera e propria comunità di espatriati – racconta Piumatti – Qui si sta meglio sia dal punto di vista dei salari, sia dal punto di vista della regolamentazione. Si è creato un bel gruppo, con tanti ragazzi che lavorano nei coffee shop, nelle aziende, nelle banche di semi". Con la possibilità di crescere professionalmente, come accaduto ad Alessandro, senza timore di ritorsioni o dietrofront politici.
Per questo, racconta, è improbabile che gli expat tornino in Italia. "Io stesso a volte ci penso. Mi mancano le mie zone, il mare e le montagne. Peraltro negli ultimi otto anni il mercato della cannabis light aveva reso il paese promettente e il lavoro in Italia molto più facile – riflette Piumatti – ma quell'emendamentoideologico e anti-scientifico rischia di annullare tutto". Uno dei provvedimenti del pacchettosicurezza firmati dal governo ad agosto equipara infatti la canapa senza Thc e il fiore ricco di Thc, frenando così la filiera e mettendo a rischio oltre diecimila lavoratori. Eppure, secondo la tossicologia forense, quando il thc è sotto la soglia dello 0,5% sono esclusi "effettidroganti". "Potremmo avere una legalizzazione totale e virtuosa già domani, considerate l’esperienza, la professionalità e la qualità esistenti. Tuttavia il climarepressivo ci tiene tutti lontani dal Paese".
Così i cervelli della cannabis rimangono all'estero. Non solo nei Paesi Bassi, ma anche in Spagna e in Germania, dove è stata legalizzata lo scorso aprile. Con un vantaggio anche per la sicurezza del prodotto, tolto alla criminalità organizzata: il Governo tedesco, ha spiegato allora, ha voluto così anche limitare il mercatonero. Tuttavia per Piumatti non dev'essere questo l'obiettivo della lotta: "Purtroppo la criminalità guadagna molto di più da altre sostanze, e non penso che togliergliene una rendendola legale sia una vera svolta. Pensiamo semmai a chi ci va a guadagnare: tutti i potenziali fruitori, a cui vanno riconosciuti dignità e diritti. È una lotta culturale".
E i tempi potrebbero essere maturi: "Siamo pronti, la stigmatizzazione e il tabù si sono un po’ ridimensionati nel corso di questi ultimi 15 anni, e anche le vecchiegenerazioni ormai sanno che non è più pericolosa di altre sostanzelegali". Lo scollamento, secondo Piumatti, è semmai tra società e politica: "Il Governo continua la sua guerra perché è diventata una bandiera politica. Eppure essere a favore della legalizzazione non dovrebbe appartenere a uno schieramento. Possono cambiare le modalità, si può discutere sulle specificheleggi, ma la regolamentazione non è di per sé né di destra, né di sinistra". Per questo Alessandro è fiducioso: "Sono sicuro che la maggiore cultura porterà prima o poi a una svolta. Il proibizionismo ha sempre fallito, i nuovi movimenti che stanno nascendo lo dimostreranno. Servono però competenze serie, preparazione scientifica e politica. E allora i benefici, in Italia come all'estero, saranno enormi".
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