
Austin Reeves, il "Signor Nessuno" che ha preso il posto di James e Doncic

03/21/2025 12:06 PM
Austin Reeves, l'uomo venuto dal nulla
Nel Draft del 2021, pronunciavi il suo nome e vedevi attorno solo facce smarrite. Reeves chi? Sconosciuto, non considerato, non scelto da nessuna squadra. Un signor nessuno. Firmò con i Los Angeles Lakers un contratto da 45 giorni. Un ingresso in punta di piedi. Il resto è storia. Fino ai giorni nostri, in cui l'assenza di LeBron James e un Luka Doncic a mezzo servizio hanno trasformato Austin Reeves da terzo a primo violino dei giallo-viola (al momento dentro ai playoff). Chiamato in causa, ha risposto "presente". Chi se lo aspettava. Forse solo il Prescelto, che ha sempre creduto in lui e lo ha preso fin dall'inizio sotto la sua ala protettrice. Il nativo dell'Arkansas in nove gare senza James ha tenuto 27,9 punti di media con oltre 8 assist e quasi 7 rimbalzi. Cifre da All-Star, anzi da superstar. La forza di Reeves? Il non aver paura di nulla. Ma anche saper fare un po' di tutto bene, niente in modo eccezionale. Questa caratteristica, nel concreto, gli permette di adattarsi in base alle necessità del momento. Tira da tre e può metterla dal palleggio, senza essere un vero tiratore da fuori (35,4%). Penetra e scarica sul perimetro, senza avere la visione di gioco di Jason Kidd. Va dietro schiena in traffico, senza avere il palleggio di Jamal Crawford. Ne segna 35 in una sera, senza avere i punti nelle mani di Anthony Edwards. Chiude un'entrata al ferro, senza avere un primo passo velocissimo o essere un grande saltatore. Insomma, Austin Reeves ha fatto delle sue capacità "medio-alte" – accorpate a una faccia tosta clamorosa – una caratteristica distintiva, unica. Non dà veri punti di riferimento agli avversari. Non sai mai come può colpirti. Per questo è divertente vederlo in campo.
Il disastro di Phoenix
Siamo al capolinea, gente. Al capolinea di una (breve) storia iniziata male e finita peggio. Una storia di "assemblaggio" di talento senza obiettivi a lungo termine: metti insieme tre star e speri di vincere. Tre per tre? Nel basket non per forza fa nove, a volte pure quattro. I Phoenix Suns in campo sono imbarazzanti. In attacco, non hanno problemi a segnare. Ci mancherebbe, hai Durant, Booker, Beal nella stessa squadra. Ma i punti sembrano spesso frutto di una "turnazione", di un sistema di gioco basato su "adesso tiro io, poi tocca a te". I problemi gravi, anzi gravissimi, stanno in difesa. Nessuno piega le gambe. Nessuno fa bene le rotazioni. Gli avversari vanno al ferro con una facilità imbarazzante. Sono ventiseiesimi in Nba per efficienza difensiva. Fanno peggio solo 76ers, Wizards, Jazz e Pelicans. Vere e priorie barzellette. Durant non è motivato. Si vede. Ha già 20 punti nel momento stesso in cui dice alla propria fidanzata "Dai, vado alla partita". Non è questo il punto. Non è un leader, non vuole più stare in Arizona. Di Devin Booker forse è stata un po' sopravalutata la capacità di essere la prima punta di una squadra con ambizioni. Beal è stato spesso infortunato, ma la versione vista a Washington forse era solo un'ipotesi. Sta di fatto che i Suns sono decimi a Ovest e rischiano di non fare nemmeno i playoff. Sarebbero la squadra più costosa della storia a non raggiungere la post-season. Bel record, non c'è che dire.
Draymond Green, difensore dell'anno?
Ha appena dichiarato di volere il premio di difensore dell'anno, con Victor Wembanyama fuori dai giochi (al 90% lo avrebbe vinto lui…). Draymond Green lo ha già vinto nel 2017, quando era nel picco di carriera e non c'era rotazione difensiva che non riuscisse a leggere. Un talento unico. Poi, la polemica sul fatto che il riconoscimento venga assegnato "contando" semplicemente "stoppate e recuperi”. E che lui sia al livello di Tim Duncan e di Kevin Garnett. Al livello dei migliori di sempre. Ha ragione? Paragonare giocatori di epoche più o meno diverse è sempre terreno particolarmente scivoloso. Come dire che Clide Drexler oggi farebbe fatica perché non era un tiratore da fuori. Perché "quel" Drexler di allora si sarebbe allenato e sviluppato all'interno dell'attuale cultura di basket. Dove il tiro da tre è concepito diversamente rispetto agli anni '90. Stesso discorso per Green. Quello che si può dire è che l'ala dei Golden State Warriors è stato un difensore di altissimo livello per tanti aspetti. La presenza fisica e la mobilità laterale, che gli permettevano di marcare i lunghi, ma anche di andare dietro a giocatori più guizzanti e meno fisici. Un'intelligenza fuori dal comune nel capire le intenzioni dell'attacco e guidare di conseguenza sé stesso e la difesa. Una durezza e una voglia di competere con pochi precedenti (certo, anche una "testa calda"…). Classico giocatore impossibile da raccontare con le cifre. Se è migliore di questo o di quello in difesa è roba di poco conto. Di certo, Green verrà sempre considerato nel gruppo di quelli che storicamente hanno interpretato al meglio questo aspetto della gara.
That's all Folks!
Alla prossima settimana.
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