Due anni di governo Meloni: nelle slide celebrative tante omissioni e dati parziali su occupazione, stipendi, export, Pnrr, fisco, sanità e sostegno a

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Numeri scelti con cura per assicurarsi che il bicchiere sembri mezzo pieno. E che chi legge si trovi davanti l’immagine di un Paese che macina record, dal lavoro alla sanità passando per l’aumento degli stipendi, i risultati del Pnrr, l’andamento dell’export, la lotta all‘evasione e il sostegno al sistema produttivo. Palazzo Chigi festeggia il primo biennio meloniano con 56 slide che celebrano i presunti successi del governo aggiornando la brochure dedicata all'”Italia vincente” di Fratelli d’Italia diffusa in occasione dell’anniversario della vittoria elettorale. Basta però allargare lo sguardo per scoprire omissioni, mezze verità e dati sbagliati. Ecco i più evidenti, scovati nelle schede sui risultati economici vantati dalla premier.

“Fondata sul lavoro”? Restiamo sotto la media Ue – La prima slide si concentra sui presunti successi del governo nel campo dell’occupazione: “record di 24 milioni di occupati“, tasso di occupazione ai massimi storici, tasso di disoccupazione ai minimi dal 2007. I dati sono corretti, ma la narrazione che descrive l’Italia come un Eldorado è stata smentita giusto un mese fa da una fonte certo non nemica dell’attuale maggioranza, l’Inps. L’ultimo rapporto annuale evidenzia che nonostante il recupero post Covid il differenziale tra il tasso di occupazione dell'Italia e la media dei Paesi dell'area Euro rimane "negativo e costantemente attorno a 8-9 punti percentuali” a causa dei mai risolti ritardi nell’occupazione giovanile e femminile. Quanto ai “più di 800mila contratti stabili” vantati nella slide, a parte il fatto che il dato attribuito all’Istat è sbagliato (gli occupati permanenti anno su anno sono 516mila in più), l’Inps ricorda che negli ultimi anni le aziende si sono assicurate “flessibilità” aumentando il ricorso al part time, imposto soprattutto alle donne.

“Un'Italia più solida e prospera” – Nel 2023 il pil italiano è in effetti cresciuto più della media Ue: +0,7% contro +0,4%. Ma Grecia (+2,3%) e Spagna (+2,7%) hanno fatto molto meglio dell’Italia, come gran parte dell’Est europeo. Quest’anno sta andando male: l’Istat a inizio ottobre ha comunicato che la crescita acquisita si ferma allo 0,4% e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dovuto ammettere che raggiungere l’1% previsto sarà complicato. La stessa slide festeggia un “record di richiesta di titoli di Stato italiani” affermando che i titoli del debito pubblico “in mano agli italiani” – ossessione della premier Giorgia Meloni – sono saliti a 425 miliardi. In realtà l’ultimo bollettino di Bankitalia parla di 370 miliardi, in progressivo aumento (con una battuta d’arresto a luglio) ma in parallelo con un analogo incremento dei titoli detenuti dai “non residenti”, passati in sette mesi da 655,9 a 726,7 miliardi.

La “difesa del potere d’acquisto” ha fatto flop – “Più soldi in busta paga ai lavoratori e ai pensionati”, assicura Palazzo Chigi citando il solito taglio del cuneo, la rivalutazione delle pensioni (peraltro parziale), la crescita degli stipendi “superiore all’inflazione”. Anche su questo viene in soccorso l’Inps, che ricorda come "la variazione nominale delle retribuzioni è decisamente inferiore a quella dell'inflazione, tra il 2019 e il 2023 collocabile attorno al 15-17%", il che ha determinato una “perdita di potere d'acquisto“. Non è un caso se nel 2023, mentre il governo si opponeva al salario minimo per legge, la quota di lavoratori dipendenti e in particolare operai in povertàassoluta ha raggiunto il massimo dall’inizio delle serie storiche, un “record” che il governo si guarda bene dal ricordare. Su questo fronte cos’è stato fatto negli ultimi due anni? Al netto dell’abolizione del reddito di cittadinanza, sostituito da strumenti che raggiungono una platea molto più piccola e lasciano a piedi i presunti occupabili, le slide citano l'”aiuto alle famiglie in difficoltà con la carta Dedicata a Te“. I difetti della misura sono stati ampiamente illustrati da esperti come Chiara Saraceno: si tratta di un’unica erogazione annuale (460 euro nel 2023, 500 quest’anno) del tutto insufficiente per rispondere alle necessità delle famiglie con Isee molto basso e i fondi stanziati non bastano nemmeno per coprire tutta la platea potenziale, cioè i nuclei con almeno tre componenti che faticano ad arrivare a fine mese.

Piano casa fantasma– A proposito di sostegno a chi non ce la fa, la settima slide cita sotto la voce Infrastrutture l'”introduzione del nuovo Piano casa”. Nel decreto Salva casa approvato a luglio compariva in effetti un articolo che annunciava un “Piano nazionale per l’edilizia residenziale e sociale pubblica” da adottare con decreto del presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle infrastrutture. Non se n’è più saputo nulla.

Fisco più equo? – Il governo si dice convinto di aver avviato “un nuovo rapporto tra Fisco e contribuenti” e la “lotta ai grandi evasori“. A sostegno porta i 24,7 miliardi di “recupero dell'evasione fiscale” nel 2023, “somma record”. Ma quel risultato è la somma delle attività condotte attivamente dall'amministrazione fiscale e di misure straordinarie come definizioni agevolate e rottamazioni: di fatto sanatorie che non dicono nulla sulla capacità "strutturale" di contrastare il nero. Il solo recupero ordinario, pari a 16,8 miliardi, considerata l’inflazione è in linea con gli anni precedenti. Non solo: il Mef, che la slide cita come fonte insieme all’Agenzia delle Entrate, poche settimane fa nel Piano strutturale di bilancio ha fornito una prima stima di come è andata nel 2023 la “variazione della compliance”, cioè la differenza tra l’andamento gettito osservato e quello atteso in base all’andamento dell’economia, al netto degli effetti di misure adottate dal governo. E trova che la differenza è negativa per 8,2 miliardi: l’evasione di Irpef, Ires e Iva, insomma, sarebbe aumentata di altrettanto. Di certo saldo e stralcio, rottamazione e altre forme di condono, insieme al calo degli accertamenti, hanno dato ai contribuenti il messaggio che conviene non pagare. La nemesi è l’andamento del concordato preventivo biennale tra fisco e partite Iva, che punta a convincere gli autonomi a versare un po’ di più blandendoli con una nuova sanatoria sul pregresso e minacciando più controlli a carico dei renitenti. Bisogna decidere entro fine ottobre e al momento il flop sembra dietro l’angolo: il Sole 24 Ore ha fatto un sondaggio tra i commercialisti e consulenti che lo leggono e 9 su 10 hanno riferito che meno del 10% dei clienti ha aderito. La lotta ai “grandi evasori” intanto pare limitarsi al fatto che il nuovo accertamento sintetico sarà applicabile solo se la distanza tra le spese sostenute e il reddito dichiarato supera la bella cifra di 70mila euro.

“Al fianco di chi crea ricchezza”. Fondi bloccati e tasse in salita – Qui si vanta il “sostegno al sistema produttivo e industriale”, al centro delle promesse elettorali del centrodestra. Il primo successo citato è il Piano Transizione 5.0, 6,3 miliardi da distribuire come crediti d’imposta per investimenti nel digitale, nell’autoproduzione di energia da rinnovabili e nella formazione del personale. Proprio ieri Confindustria ha avvertito che ci sono tali e tanti problemi applicativi che finora le richieste si sono fermate a 70 milioni di euro, non proprio un grande stimolo a investire. Nel frattempo è emerso che la manovra è finanziata per 3,4 miliardi dai fondi che derivano dall'abrogazione dell'Aiuto per la crescita economica, un'agevolazione fiscale che incentiva il reinvestimento degli utili in azienda, e per una cifra ancora non nota dall’inclusione delle pmi nella platea di quelle tenute a pagare l’imposta sulle transazioni digitali che doveva colpire i “giganti del web”. Insomma: le tasse per le imprese salgono.

“Cresce la voglia d'Italia nel mondo”. Ma l’export scende – Secondo il governo “l'eccellenza Made in Italy conquista i mercati globali”. Il dato simbolo? “Italia quarta al mondo per esportazioni“. A calcolarlo è stato lo scorso agosto, sul Sole 24 Ore, l’economista Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison. Per arrivare al risultato Fortis, da decenni specializzato nel magnificare i successi dell’economia del Belpaese scegliendo i numeri più lusinghieri, “depura” i dati dell’Organizzazione mondiale del commercio stando ai quali nel 2023 la Penisola si è piazzata sesta per valore dell’export. Fortis non solo esclude i Paesi Bassi, che si piazzano bene soprattutto per effetto delle merci in transito nei loro porti, ma arriva pure a lasciar fuori l’agonizzante export di auto con la motivazione che “costituiscono soltanto il 3% degli scambi mondiali”. Così si arriva al sospirato quarto posto dopo Cina, Usa e Germania. Senza peraltro fare parola di un fatto non secondario: quella classifica è basata sui valori dell’export, legati all’andamento dei prezzi (e ai cambi). Se si guarda ai volumi il quadro è ben diverso: nel 2023 secondo l’Istat l’export italiano in volume è calato (-5,1%) e il trend sta continuando nel 2024. Curioso il dato sulle sole esportazioni del Made in Italy agroalimentare: stando alla slide sono state di “46 miliardi nel 2024, +8% rispetto al 2022″. Evidentemente si parla del 2023 e il numero è sbagliato: stando al Crea Politiche e Bioeconomia, ente ricerca vigilato dal ministero dell’Agricoltura, che è citato come fonte, l’export è stato di 63,1 miliardi.

“Più risorse per ricostruire la sanità”. Cala lo stanziamento rispetto al pil – Dopo le polemiche dei giorni scorsi, Chigi rivendica gli “stanziamenti record per il Fondo sanitario nazionale” che l’anno prossimo salirà a 136,5 miliardi. Anche qui, si tratta di un’illusione ottica: come mostra pure il grafico inserito nella slide, quel Fondo viene alimentato tutti gli anni e dunque segna via via nuovi record. E anche l’aumento della spesa pro capite, pur significativo, dice poco se si tiene conto dell’inflazione. Il dato a cui guardare è l’unico che il governo non riporta: gli stanziamenti in rapporto al pil. Se si tiene conto degli aggiornamenti Istat e della crescita prevista dal Mef, si scopre che l’anno prossimo quel rapporto scenderà a poco sopra il 6% del pil, dal 6,12% del 2024. Coraggioso, infine, rivendicare l’entrata in vigore nel 2025 dei nuovi Lea dopo che in primavera l’aggiornamento atteso da anni è stato fatto slittare a causa delle proteste della sanità privata contro la riduzione delle tariffe.

Pnrr? Sempre più in ritardo – Nel bilancio dei primi due anni del governo non poteva mancare il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Citando come fonti la Commissione Ue e il ministro per gli Affari europei, Chigi torna a sostenere che l’Italia è “prima in Europa per obiettivi raggiunti e avanzamento finanziario”. Quanto agli obiettivi, il primato deriva semplicemente dal fatto che siamo di gran lunga il Paese destinatario di più risorse e di conseguenza il nostro piano ne aveva fin dall'inizio molti di più. In più i primi risultati erano più facili da raggiungere perché si trattava soprattutto di approvare decreti e riforme, mentre ora stanno diventando prevalenti i target quantitativi. E qui iniziano i problemi: al 2 ottobre, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, erano stati spesi solo 53,5 miliardi, meno di metà dei soldi ricevuti, e solo grazie al fatto che le agevolazioni fiscali tra cui Superbonus hanno proceduto spediti senza la necessità di interventi da parte delle amministrazioni. Nel 2024 il cronoprogramma prevedeva che fossero “messi a terra” 44 miliardi: siamo fermi a poco più di 9. Nel Documento programmatico di bilancio il governo scrive che a fine anno arriveremo a 20, meno di metà di quel che il Mef credeva un anno fa. Nel frattempo Raffaele Fitto, dominus del Piano, è pronto a trasferirsi a Bruxelles.

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