Emergenza stipendi, Istat: più di un occupato su 10 a rischio povertà. Il 23% degli italiani in difficoltà

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Il buon andamento dell’occupazione che il governo Meloni continua a rivendicare ha un lato oscuro: molti di quei posti prevedono retribuzioni così basse che i lavoratori arrivano a stento a fine mese. Non è una novità, come hanno confermato pochi giorni fa i dati diffusi pochi giorni fa dall’Organizzazione mondiale del lavoro, stando ai quali i salari reali in Italia sono calati più che in qualsiasi altro Paese del G20. Oggi dall’Istat arriva un ulteriore tassello: lo scorso anno in Italia sono aumentati i lavoratori a rischio povertà. Nel rapporto su Condizioni di vita e reddito delle famiglie, l’istituto trova che la quota di occupati in quella condizione, che riguarda chi vive in famiglie con reddito netto sotto la soglia di povertà, è salita dal 9,9% del 2023 al 10,3%.

Più in difficoltà gli uomini rispetto alle donne (8,3% contro 11,8%) nonostante queste ultime abbiano una maggiore probabilità di avere un lavoro a basso reddito: essendo spesso “seconde percettrici” nel nucleo familiare, la bassa retribuzione non si traduce necessariamente in un rischio di povertà di tutta la famiglia. Il rischio di povertà o esclusione sociale, cioè la percentuale di persone che vivono in famiglie a rischio di povertà (18,9%) o in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (4,6%) o “a bassa intensità di lavoro“, passa a sua volta dal 22,8% del 2023 a 23,1% per effetto dell’aumento dall’8,9 al 9,2% dei nuclei i cui membri lavorano solo pochi mesi all’anno. Una condizione che riguarda soprattutto le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023). A livello territoriale, il Nord-est si conferma l'area con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%, era 11% nel 2023) e il Mezzogiorno resta la parte del Paese con la percentuale più alta (39,2%, era 39% nel 2023).

Dati che “gridano vendetta”, ha commentato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a margine dell'assemblea Fp Cgil dei candidati Rsu 2025 sono “legati sia al livello di precarietà sia al fatto che il governo continua a non andare a prendere i soldi dove sono. Si assuma tutte le sue responsabilità e la smetta di raccontare un mondo che non esiste". Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori, parla di “vergogna” perché “avere quasi un quarto della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale non è degno di un Paese civile. Il fatto, poi, che il dato sia addirittura in peggioramento rispetto al 2023, dal 22,8% al 23,1%, attesta come le politiche del governo Meloni abbiano fallito sul fronte del contrasto alla povertà, come era già stato attestato una decina di giorni fa, sempre dall'Istat, con l'aumento dell'indice di Gini”.

Il reddito reale cala causa inflazione – Per il resto il report approfondisce i numeri relativi al 2023, quando il reddito annuale medio delle famiglie (37.511 euro) è salito del 4,2% in termini nominali (+4,2%) ma si è ridotto in termini reali (-1,6%) “a causa dell'inflazione. Un effetto particolarmente intenso nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), a fronte di una lieve riduzione osservata nel Mezzogiorno (-0,6%) e di una debole crescita nel Nord-ovest (+0,6%). Rispetto al 2007, la contrazione complessiva dei redditi familiari in termini reali è pari, in media, a –8,7%: -13,2% nel Centro, -11,0% nel Mezzogiorno, -7,3% nel Nord-est e -4,4% nel Nord-ovest. La flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (-17,5%) o dipendente (-11%), mentre per le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici si registra un incremento pari al 5,5%. I redditi da capitale mostrano una perdita complessiva del 22,6%, in gran parte attribuibile alla dinamica negativa degli affitti figurativi (-27% in termini reali dal 2007).

Sale la disuguaglianza– Il Nord-ovest presenta il reddito medio familiare inclusivo degli affitti figurativi più alto (47.429 euro) e la crescita maggiore in termini nominali rispetto al 2022. Nel Mezzogiorno il livello è il più basso (34.972 euro), nonostante il forte incremento rispetto all'anno precedente (era 33.140 euro nel 2022), seguito dal Centro (44.001 euro da 42.742 euro nel 2022) e dal Nord-est, dove il reddito medio familiare inclusivo degli affitti figurativi è di 47.279 euro dai 46.933 del 2022. L'indice di concentrazione di Gini, una delle misure più utilizzate per valutare la disuguaglianza tra i redditi, nel 2023 è salito a 0,323, in peggioramento rispetto all'anno precedente quando era 0,315. L’indice calcolato per Sud e Isole (0,339) è sensibilmente più elevato del dato medio nazionale. Molto più bassi i livelli per il Centro (0,314) e soprattutto il Nord-ovest (0,303) e Nord-est (0,276). Il Nord-est è l'unica ripartizione geografica dove si registra un lieve miglioramento rispetto al 2022. Nel 2023, l'ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022

Nel 2023 il 21% dei lavoratori è a basso reddito – Nel 2023, i lavoratori a basso reddito – quelli che hanno lavorato almeno un mese nell'anno e hanno percepito un reddito netto da lavoro inferiore al 60% della mediana della distribuzione individuale del reddito netto da lavoro relativa al 2023 – sono pari al 21% del totale, un valore pressoché invariato rispetto all'anno precedente. Il rischio di essere un lavoratore a basso reddito è decisamente più alto per le donne rispetto agli uomini (26,6% contro 16,8%), per gli occupati appartenenti alle classi di età più giovani (29,5% per i lavoratori con meno di 35 anni contro un valore minimo pari al 17,7% per quelli nella classe 55-64), per gli stranieri rispetto agli italiani (35,2% contro 19,3%). La condizione di basso reddito è associata anche a bassi livelli di istruzione, passando dal 40,7% per gli occupati con istruzione primaria al 12,3% per quelli con istruzione terziaria. Risulta inoltre a basso reddito il 17,1% dei lavoratori dipendenti, il 28,9% degli autonomi e il 46,6% di chi ha un contratto a termine, rispetto all'11,6% di chi ha un contratto a tempo indeterminato.

L'intensità lavorativa è ovviamente un fattore determinante: l'incidenza del lavoro a basso reddito è pari all'88,8% per chi ha lavorato meno di 4 mesi nel corso dell'anno, arriva al 56,3% per chi ha lavorato tra i 4 e i 9 mesi e scende fino al 13,6% per chi ha lavorato più di 9 mesi. Vi sono ampie differenze tra i settori di attività economica: risultano a basso reddito l'11% degli occupati nell'industria, il 21% nel comparto dei servizi di mercato e il 44,5% in quello dei servizi alla persona.

Nel 2023, la quota dei lavoratori a basso reddito risulta più alta di circa quattro punti a quella stimata nell'anno pre-crisi 2007, quando era pari al 16,7%. Il rischio di basso reddito ha avuto una dinamica crescente nel corso della lunga crisi economica, raggiungendo un picco del 23,2% nel 2014: la progressiva riduzione dell'incidenza del lavoro a basso reddito negli anni successivi è stata interrotta dalla crisi pandemica, con l'indicatore che ha raggiunto il 24,6% nel 2020.

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