Fine vita, il giudice: "Non si può non tenere conto della sentenza 135" che ha esteso la nozione di trattamenti di sostegno vitale

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“Non si può non tenere conto della sentenza 135 della Corte costituzionale nell'ambito del caso, nato dall'autodenuncia di disobbedienza civile di Cappato, dibattuto oggi a Palazzo della Consulta, giudici relatori Viganò e Antonini”. Si tratta del verdetto, emesso lo scorso luglio, con cui i giudici hanno esteso la nozione di “trattamenti di sostegno vitale” rispondendo a una eccezione sollevata dal giudice di Firenze.

In particolare il giudice Francesco Viganò, per una migliore contestualizzazione della questione nell’udienza pubblica in cui per la quarta volta si discute di fine vita, ha rilevato che “l’ordinanza del gip (di Milano) è del 21 giugno 2024 (sui casi di Elena e Romano morti in Svizzera, ndr), quindi circa un mese antecedente alla sentenza 135 della Corte costituzionale” che rigettava la questione di legittimità sollevata da un gip di Firenze sull’art. 580 c.p., come modificato dalla sentenza n. 242/2019 della stessa Corte, nella parte in cui subordinava la non punibilità di chi agevola l'altrui suicidio alla condizione che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, chiarendo contestualmente cosa debba intendersi per trattamenti di sostegno vitale. Il gip di Firenze, poi ignorando quella decisione, non ha archiviato le posizioni di Cappato e di due attiviste.

“Quella sentenza” di luglio della Consulta “ha fornito una serie di precisazioni di cui non si poteva tenere conto in quella ordinanza ma di cui non si può non tenere conto adesso, in questa discussione”, rimarca il giudice. “In sintesi ne rammenterei alcune per il rilievo: la Corte ha chiarito che la nozione di trattamento di sostegno vitale abbraccia tutte le procedure mediche che si rivelano nel concreto necessarie ad assicurare l'espletamento delle funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe la morte del paziente in un breve lasso di tempo; che la procedura è normalmente compiuta da personale sanitario ma che potrebbe essere anche presa in carico dai familiari”.

In secondo luogo, Viganò ricorda che la Corte ha precisato che l'art 32 secondo comma della Costituzione consente al paziente di chiedere la interruzione del trattamento già in atto; si chiede dal punto di vista costituzionale che sia osservato e che non vi sia alcuna distinzione fra il paziente già sottoposto al trattamento di sostegno vitale di cui può chiedere l'interruzione e quella del paziente che per sopravvivere necessiti di una valutazione medica per l'attivazione di un simile trattamento, che può rifiutare. “Quindi il paziente già si trova nelle condizioni di poter rifiutare un trattamento, già valutato dai sanitari come necessario”. Infine, per altro verso, il giudice relatore ha ricordato che la Corte ha riaffermato la necessità dell'eventuale rispetto delle condizioni procedurali fissate dalla sentenza 242 “e cioè il necessario coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale e del parere del personale medico competente, escludendo che la clausola di equivalenza della sentenza potesse estendersi a fatti successivi alla sentenza”.

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