Gentile Michael Krüger, la sua 'modesta proposta' mi lascia dubbioso: la poesia non ci salverà

https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2025/01/27/Michael-Kruger-nonino-1200-1050x551.jpg

Gentile signor Krüger,
volevo prima di tutto dirle che sono molto felice del fatto che le sia stato assegnato il Premio Nonino.
Sono felice ogni volta che un poeta viene premiato in un contesto che non sia strettamente letterario: è come un lampo di luce che squarcia le tenebre fitte in cui la superficialità, la volgarità, la crudeltà di questa società mostruosa che abbiamo costruito ha imprigionato la più antica, la più necessaria delle arti, che anch'io, nel mio minimo e mediocrissimo modo, vado esercitando da decenni.

Ho letto con interesse, sul Corriere della sera del 25 gennaio, il discorso che lei ha pronunciato durante la premiazione: ho sorriso e mi sono sinceramente emozionato nel sapere della sua vita, della sua scelta così coraggiosa e radicale di voler essere prima di tutto e ad ogni costo un poeta, in tempi che a qualcuno potrebbero apparire ben più duri dei presenti e ad altri, invece, ben meno ostili alla poesia.

Per quello che può contare, mi sono riconosciuto nella sua passione, nella sua certezza di voler essere, da sempre e prima di tutto, un poeta. E le sono grato dell'amore e dell'attenzione che non ha mai fatto mancare alla poesia italiana.
Ciò che mi ha lasciato dubbioso, ed anche un po' a disagio, è quella che lei ha swiftianamente chiamato la 'modesta proposta' con cui chiude il suo discorso. E cioè che, se i potenti della terra leggessero – prima di sedersi a decidere del destino di noi tutti, come semidei ostili e mostruosi fuggiti dal peggiore dei nostri incubi – i versi di Bachmann, Montale o Ungaretti, allora forse le loro decisioni potrebbero essere diverse.

Crede davvero, signor Krüger, che i capi di quest'allucinazione collettiva che chiamiamo neoliberismo, i paladini del 'diritto alla felicità', come è malvagiamente scritto nella Costituzione della nazione che si è assegnata da sé il compito di Paladina della Democrazia, coloro che in suo nome vanno da anni facendo strage di poveri, di deboli, di innocenti, quelli che hanno pervertito definitivamente ogni significato e ogni senso della parola libertà e che hanno ridotto la parola 'democrazia' a simbolo di sfruttamento, potrebbero essere commossi o indotti al pentimento dalle parole dei poeti?
A festeggiare l'elezione di Obama fu chiamata, come sovente avviene a quelle latitudini, una poeta, una giovane poeta afroamericana: come sia poi andata a finire tutti lo sappiamo. La trovo eccessivamente ottimista, per niente swiftiano, addirittura ingenuo…

Ingenuità? Ma che diritto abbiamo, noi poeti prima di tutto, ad essere ingenui in un tempo in cui non c'è più traccia di verità, né di compassione (che è l'unica virtù non usuraia, diceva il Foscolo, ricorda?), in un tempo in cui le parole hanno rinunciato da tempo a significare ciò che hanno sempre significato, in cui si sono pervertite?
Ripenso ai versi di un grande autore, Franco Fortini, che lei certo conosce, a proposito della tragica Guerra del Golfo:

Lontano lontano si fanno la guerra. / Il sangue degli altri si sparge per terra. // Io questa mattina mi sono ferito / a un gambo di rosa, pungendomi un dito. //Succhiando quel dito, pensavo alla guerra. / Oh povera gente, che triste è la terra! // Non posso giovare, non posso parlare, / non posso partire per cielo o per mare. // E se anche potessi, o genti indifese, / ho l'arabo nullo! Ho scarso l'inglese! // Potrei sotto il capo dei corpi riversi / posare un mio fitto volume di versi? // Non credo. Cessiamo la mesta ironia. / Mettiamo una maglia, che il sole va via.

Lasciamo pure che la signora Meloni apra i suoi Consigli dei Ministri leggendo Montale, o che Lagarde e Scholtz e Von Der Layen aprano le loro riunioni leggendo versi, o che non lo facciano affatto. Non cambierà nulla, in ogni caso.

Lei stia con me, mi tenga per mano, quando (quando?) con tutte le altre e gli altri, poeti e impiegati, operai e disoccupati, tossici e pazzi, miserabili, guitti, transessuali, musicisti, pittori, ballerini, insegnanti, elettricisti, autisti, marinai, soldati, contadini, esiliati, clandestini, fuori da quei palazzi reciteremo a voce altissima i versi di Majakovskij, quelli di Brecht, di Montale, Ungaretti e sin quelli di Omero e di Virgilio.
Mi tenga per mano, però, anche quando smetteremo di recitarli e agiremo per riprenderci il nostro diritto alla vita, alla dignità, al futuro. Ne sarei, ne saremmo, onorati.
Chissà, forse era questo che intendeva Ungaretti quando ci invitava a 'illuminarci d'immenso'.

La poesia, mi creda sig. Krüger, ho montagne di prove da sottoporle per convincerla, non salverà il mondo, non è quello il suo compito, né è nelle sue possibilità, è piuttosto il mondo, se vuole restare umano, a dover salvare la poesia.
Se non lo farà, se essa non tornerà nel quotidiano di ognuno e di ognuna di noi, se, come dice Bifo, non le sarà permesso di fare di nuovo ciò che solo lei può fare, ridare ordine ed eleganza al caos, unica e ultima forma di vero respiro che ci è concessa, allora sì, tutto sarà perduto.

Ma questo non dipende dalla poesia, né dalla volontà dei potenti di accorgersi di lei, meno che mai dai poeti.
Dipende da noi, da tutti noi, piuttosto, in quanto cittadini, esseri umani che ancora credono alla compassione e alla dignità, che ancora cercano il senso autentico di ciò che ci fa umani: le parole. Dipende da quanti di noi torneranno a leggere, ad ascoltare poesie, coscienti che non si possono sognare sogni nuovi con parole vecchie, perché ormai il nostro sogno non ha più nome e trovargliene uno nuovo, questo sì, potrebbe essere il compito dei poeti, che sono coloro che devono tenere in 'allenamento la lingua' come sosteneva Elio Pagliarani.

Un mondo senza poesia sarà certamente un mondo meno umano, ma a salvare il mondo, ahimè, dovranno essere, come sempre, i corpi, la rabbia, i sogni, la volontà, l'intelligenza e la forza di quelle che una volta – ricorda signor Krüger? – avremmo chiamato masse popolari.
La coscienza che, come mi è capitato di scrivere ormai decenni fa, ancora oggi e sempre, sia «meglio morire / che perdere la vita».

Un abbraccio sincero e colmo di ammirazione, il suo
Lello Voce

L'articolo Gentile Michael Krüger, la sua ‘modesta proposta’ mi lascia dubbioso: la poesia non ci salverà proviene da Il Fatto Quotidiano.

×