Giornata della Memoria, 80 anni dopo la liberazione di Auschwitz la minaccia è il negazionismo che "normalizza" la Shoah. Ecco le fake news più diffus

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“Sempre più spesso il termine Shoah oggi viene usato per definire tragici accadimenti, oppure per valorizzare impropriamente una ipotetica classifica tra i numerosi orrori che hanno colpito e colpiscono l'umanità. È dietro a questi improbabili paragoni che spesso si annidano contemporanee forme di antisemitismo. È per questo che non ci stancheremo mai di chiarire e ricordare alcuni punti. La Shoah rappresenta la messa in opera, nella moderna Europa, di un gigantesco sistema politico, economico, industriale, al servizio di un solo obiettivo: lo sterminio del popolo ebraico“. Sono parole di Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma. Le scriveva qualche anno fa, per ribadire l’unicità nella storia dello sterminio nazista degli ebrei. E aggiungeva che la Germania “utilizzò conseguentemente e proficuamente tutto il proprio apparato burocratico, le sue risorse naturali, per un obiettivo che naturale non era, che era ben al di là di ogni limite di una morale condivisa non solo nell'era moderna. La Shoah dunque si rivelò come una catastrofe inedita nella civiltà umana, assolutamente senza precedenti”.

Eppure, a ottant’anni dalla liberazione del lager di Auschwitz, la negazione dell’Olocausto e soprattutto i tentativi di banalizzarlo, assimilandolo cioè a uno dei tanti genocidi avvenuti nel Novecento, da quelli perpetrati dalle potenze coloniali ai massacri degli armeni, continuano ad avere larga diffusione. Le farneticazioni pseudo storiche dei Robert Faurisson e dei David Irving, smentite anche nelle aule di giustizia, non sono ancora finite nei bidoni della spazzatura. E nei mass media, in particolare nei cosiddetti “social”, si affollano commenti e “post” di gente che rifiuta la verità dell’uccisione di milioni di ebrei. In più, come ricordava giorni fa Gad Lerner su Il Fatto, a causa della guerra di Gaza pare che gli ebrei abbiano esaurito il credito che ebbero in quanto popolo vittima dell’Olocausto. Eppure proprio l’unicità della Shoah, l’essere cioè quel popolo che i nazisti volevano far sparire per sempre, può spiegare in parte, anche se non giustificare, la condotta odierna di Israele.

Negare lo sterminio degli ebrei ha un presupposto: la negazione della storia. La si nega per motivi non razionali, odio, per strumentalità più o meno politica, per ignoranza. E se proprio non si vuole passare per negazionisti tout court, c’è un altro modo per falsificare la storia: la si traveste. Lo scopo è lo stesso cui miravano i Faurisson e gli Irving: dimostrare che le verità della storia ufficiale sono invece il prodotto di complotti o di travisamenti ad arte. Si prenda il recente “dibattito” fra Alice Weidel, la leader del partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland, ed Elon Musk. La Weidel ha affermato che Adolf Hitler era “un comunista”, ovvero un “comunista antisemita”. Tutto ciò quando tutti sanno, o dovrebbero sapere, che, con gli ebrei e gli slavi, il marxismo era uno dei demoni che Hitler voleva distruggere. E omettendo, inoltre, che Hitler fece deportare nei lager e uccidere decine di comunisti, e che i cittadini sovietici, dunque di un Paese comunista, morti nella seconda guerra mondiale, perciò contro il nazismo, furono tra i venticinque e i trenta milioni. Furono del resto i sovietici, l’Armata Rossa, a liberare Auschwitz. Un piccolo emulo di Weidel e Musk è il purtroppo famoso generale Vannacci, che si è accodato ai due, spiegando che, quando si parla di nazismo, si dimentica sempre (naturalmente a sinistra) il nome completo: nazionalsocialismo, appunto. Per dire che era socialista…

Quindi Hitler fu “comunista”, e gli ebrei non vennero sterminati, ma morirono per varie malattie. Il Diario di Anna Frank, poi, è un falso. E i lager nazisti sono un’invenzione degli anglo-americani, che volevano far dimenticare Dresda e l’atomica sul Giappone. Insomma, come sottolineava Valentina Pisanty nel saggio I negazionismi all’interno della Storia della Shoah (Utet, 2006), “in tutte le sue manifestazioni, il negazionismo non si regge in piedi senza una qualche versione della teoria del complotto, ovvero senza la convinzione che da qualche parte vi sia una regia occulta che manipola l’intero corso della storia”. Oggi più che mai.

La Shoah non è stata ovviamente il solo sterminio di massa nella storia. Ci sono stati i crimini degli imperi coloniali, i massacri degli armeni, i delitti di Stalin e di Pol Pot, per restare al Novecento. Quelli del dittatore cambogiamo, poi, indussero persino Primo Levi a mettere in discussione l’unicità e l’irripetibilità dell'Olocausto. In un’intervista a Giorgio Calcagno, del 1986. rammentò che in Cambogia “per puro fanatismo ideologico un popolo ha distrutto la metà di se stesso, nel silenzio del mondo”. Parve, insomma, non più tanto certo nell’impossibilità di un “ritorno di Auschwitz”. Disse: “Non credo che in Europa ci si tornerà, almeno in un tempo prevedibile. Ma che la minaccia esista è evidente. Il poco che sappiamo sulla Cambogia ricorda in modo pauroso quanto è successo in Germania”.

La Germania hitleriana, se proprio si vuole, non è stato nemmeno l’unico Paese ad avere costruito un “universo concentrazionario”. Però l’unicum nazista fu ed è la sistematicità scientifica con cui fu organizzato lo sterminio, e il suo essere stato una sorta di impresa industriale: e lo fu anche in senso letterale, dato che i deportati lavoravano al servizio delle maggiori imprese tedesche. In questa unicità c’era la volontà, mai tradottasi prima nella storia, di cancellare un intero popolo sulla base di una pretesa supremazia razziale. Tanto che il grande critico letterario George Steiner ha parlato di sterminio “ontologico”.

L’unicità dell’Olocausto, ricordava Venezia, “consiste nel modo in cui il nazismo considerò gli ebrei rispetto agli altri gruppi. Li considerò in termini sostanzialmente differenti rispetto a quella degli altri ‘nemici’ classici: questi, tranne in parte i Sinti e i Rom, avrebbero potuto salvarsi a condizione che cambiassero il loro modo di vivere, di pensare e che si lasciassero sottomettere senza alcuna riserva all'autorità nazista. Gli ebrei invece furono considerati come il virus dell'umanità. Quindi si decise che essi dovessero essere eliminati per la sola ragione di essere nati ebrei“.

L’avvio della macchina organizzativa scientifica della Shoah ha una data precisa, attestata dai documenti ritrovati dopo la caduta del nazismo: il 20 gennaio 1942. Fu quando i maggiori esponenti del partito nazionalsocialista (non comunista!) e del governo si riunirono in una villa nel sobborgo berlinese di Wannsee, per pianificare l’esecuzione della “Soluzione Finale alla Questione Ebraica“. A organizzarla fu il generale delle SS Reinhard Heydrich. Tra le altre indicazioni ai gerarchi e ai ministri, diede questa: gli ebrei in grado di lavorare sarebbero stati impiegati per costruire strade; ciò avrebbe comportato un numero di morti molto alto, mentre gli eventuali superstiti sarebbero stati uccisi.

I processi ai caporioni nazisti, le prime testimonianze dei sopravvissuti dei lager, non servirono a impedire l’affermarsi, già dopo la guerra, delle correnti negazioniste. Uno dei primi alfieri fu il fascista e collaborazionista francese Maurice Bardèche. Nel 1948 scrisse che i campi di concentramento e di sterminio erano un'invenzione della propaganda alleata, allo scopo di occultare le proprie responsabilità per i bombardamenti su Dresda, Tokyo, Hiroshima). Anche negli Stati Uniti saltò fuori un piccolo Bardèche: un certo Parker Yockey, che in quel medesimo 1948 disse che “i campi di sterminio sono il risultato della menzogna ebraica nella sua guerra contro la civiltà occidentale”.

Negli anni Settanta toccò a Robert Faurisson, professore all’Università di Lione, la squallida nomea di campione del negazionismo. Ha rammentato lo storico Marcello Flores in un intervento del 2007, Da Faurisson a Irving, il Novecento cancellato, che Faurisson si basava “sul rifiuto/confutazione di alcuni dei documenti, diari, memorie, prove documentarie esistenti”. Lo sforzo maggiore sembra essere stato “quello di dimostrare che il Diario di Anna Frank è stato costruito a tavolino: tesi smentita da prove calligrafiche e documentarie e paradossale perché non riguarda, in ogni modo, i campi di sterminio, che Anna Frank raggiunge solo dopo avere scritto e lasciato il suo diario nel rifugio in cui si era nascosta”. Degno seguace del francese è stato David Irving, protagonista di svariati processi. Irving, scriveva Flores, “verrà condannato nel 2006 in Austria, dove esiste una legge che condanna chi nega la Shoah”.

La nascita di Internet, diceva ancora Flores, “ha dato nuovo spazio a pubblicazioni online e siti razzisti e antisemiti, dove si mescolano grossolane accuse di complotti mondiali ebraici ricorrenti con il richiamo alle posizioni espresse dai negazionisti. Queste ultime sono fondate essenzialmente sul rifiuto e sulla denuncia di una piccolissima parte della documentazione esistente messa in discussione sulla base di piccoli errori marginali che renderebbe ai loro occhi falsa la totalità dei documenti e delle testimonianze; o sul suggerire ipotesi alternative (il gas sarebbe stato utilizzato per la disinfestazione dei vestiti) che offrono una presunta legittimità a chi si rifiuta alla verità storica per odio razziale o antisemitismo irrazionale”.

Ma il pericolo più grande che attenta alla verità dell’Olocausto è probabilmente un altro. Con la morte degli ultimi sopravvissuti dei lager, ormai pochissimi, la Shoah sarà destinata a essere rinchiusa in un Museo, o in un archivio, come lo sterminio romano dei ribelli di Spartaco o la guerra dei Trent’Anni. Così l’unicità di ciò che accadde, quanto avvenne, saranno ricordati solo dai carri armati e dai droni di Israele.

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