Il racconto di Cecilia Sala a Che tempo che fa: "I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti, pianti, vomito e tentativi di farsi male"

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Non mi hanno mai toccata. Maschi e femmine non si possono neanche sfiorare e la persona che mi interrogava era un maschio quindi io venivo portata, per esempio quando mi spostavano dalla cella alla sala degli interrogatori, con un bastone che tenevo ad un'estremità perché non potevamo sfiorarci”. Così la giornalista Cecilia Sala ha raccontato a Che tempo che fa la sua detenzione nel carcere di Evin, in Iran. “C'erano questi fari al neon accesi 24 ore – dice ancora – perdi la fiducia nella tua testa quando non parli da giorni, non ti fidi della tua memoria e anche rispondere agli interrogatori diventa un gioco psicologico abbastanza pesante”.

Sala ha capito di essere un ostaggio “nel momento in cui mi hanno detto che era morto il Presidente Carter“. “È l'unica notizia che mi hanno dato dall'esterno, io non sapevo nulla di quello che stava succedendo fuori. Lì ho capito che il messaggio era 'sei un ostaggio'”.

Dalle altre celle Sala ha raccontato di aver sentito molti rumori “strazianti“. Quando la fessura della porta blindata è chiusa, infatti, “non senti nulla”, ma quando è aperta si sentono le altre detenute. Ad esempio, c’era “una ragazza che prendeva la rincorsa per quanto possibile per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta blindata”. Si sentivano “rumori di pianto, spesso vomito, a volte tentativi di farsi del male”.

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