Non paghi la marca da bollo? Niente giustizia: la novità in manovra che fa infuriare giudici e avvocati. "Calpestati i diritti dei più deboli"

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Chi non pagherà il contributo unificato, cioè la tassa dovuta per aprire una controversia civile, amministrativa o tributaria, perderà il diritto di agire in giudizio. La novità, contenuta del disegno di legge di bilancio, fa infuriare l’avvocatura e la magistratura progressista, unite – come non accade spesso – contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio nel denunciare quella che definiscono una disposizione ingiusta e irragionevole ai danni dei cittadini meno abbienti. La previsione, contenuta all’articolo 105, modifica il codice di procedura civile introducendo una nuova causa di estinzione del processo “per omesso o parziale pagamento del contributo unificato”: “Alla prima udienza il giudice, verificato l'omesso o il parziale pagamento, assegna alla parte interessata un termine di trenta giorni per il versamento o l'integrazione del contributo e rinvia l'udienza a data immediatamente successiva. A tale udienza il giudice, in caso di mancato pagamento nel termine assegnato, dichiara l'estinzione del giudizio“, recita la norma, che si applicherà anche alle controversie disciplinate dal rito del lavoro e al processo esecutivo, ma non ai procedimenti cautelari e possessori. L’intervento, si legge nella relazione tecnica, “è suscettibile di generare un gettito in entrata per le casse erariali, che, in quanto di difficile quantificazione, tuttavia, non è stato prudenzialmente ascritto sui saldi di finanza pubblica”.

Infuriato il sindacato degli avvocati civilisti, l’Unione nazionale delle Camere civili, il sindacato degli avvocati civilisti, che definisce la disposizione “inaccettabile“: “L’articolo 24 della Costituzione garantisce il diritto di agire in giudizio e non lo subordina ad alcun adempimento di carattere fiscale. La norma proposta viola invece tale diritto e non ha dunque alcuna ragionevolezza: la giustizia ai cittadini deve essere garantita, e non venduta. La tutela dei diritti e la giustizia rientrano tra i compiti istituzionali dello Stato, che non può subordinarne l'adempimento a versamenti fiscali, sicuramente dovuti, ma che trovano già nell'ordinamento tributario i propri rimedi e le proprie sanzioni”. Anche l’Organismo congressuale forense, il vertice della rappresentanza politica degli avvocati, esprime “notevole preoccupazione” per la previsione: “Ogni tentativo di subordinare il baluardo costituzionale della tutela dei diritti ad imposizioni o a prestazioni patrimoniali è stato, nel tempo, bocciato dalla Corte costituzionale“, sottolinea l’Ocf, promettendo che “adotterà ogni iniziativa volta a evitare la approvazione della norma, come ipotizzata, e di qualsiasi altro provvedimento che pieghi l'operato del giudice a ragioni fiscali”. “Aberrante” è invece la definizione che usa il deputato Devis Dori, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra in Commissione Giustizia: “Praticamente il diritto alla giustizia, costituzionalmente garantito, è condizionato ad un adempimento di natura fiscale. Pur di fare cassa non si limitano ai tagli con l'accetta, smontano i principi costituzionali: la destra torni sui suoi passi smettendola di fare guerra alla giustizia”, afferma.

Dalla magistratura invece protestano le toghe progressiste di Area: in un comunicato dal titolo “Non sarà un processo per poveri” parlano di “una disposizione ingiusta che finisce con il calpestare i diritti di tanti cittadini, specie quelli delle fasce più deboli, privandoli della possibilità di vedere tutelate in giudizio le loro ragioni”. Si introduce di fatto, scrive il Coordinamento dell’associazione, “una sanzione che punisce con l'estinzione del processo non una condotta processuale delle parti (come, invece, è previsto per le altre ipotesi di estinzione) ma l'inadempimento di un'obbligazione tributaria, per il quale l'ordinamento già conosce altri strumenti di tutela”. Per Area, quindi, la norma “si pone in contrasto con l'articolo 24 della Costituzione, che garantisce a tutti il diritto di difesa, e “viola gli articoli 6 e 13 Cedu e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue che assicurano il diritto a un ricorso effettivo”. Al fatto.it il segretario GiovanniCiccioZaccaro, giudice di Corte d’Appello a Roma, sviluppa il ragionamento: “Molti non pagano il contributo ed è un problema, perché è come evadere una tassa e chiedere giustizia gratis. Ma pretendere che sia un giudice a verificare il pagamento e ad estinguere il processo qualora il pagamento di questo tributo non sia avvenuto significa trasformare il giudice in un agente delle tasse, ossia spogliarlo del suo ruolo di garante dei diritti. Il problema della evasione di questi contributi è serio, ma risolverlo spetta all’amministrazione e non alla giurisdizione”.

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