Non sono le donne a dover imparare a difendersi ma gli uomini a non aggredire: l'aggiunta allo slogan Atm è una lezione

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Alla fermata della metro gialla M3 PortaRomana a Milano ho visto una scritta anonima che mi ha colpito più di qualsiasi campagna pubblicitaria. L'Atm, nella sua iniziativa contro la violenza sulle donne, ha lanciato il claim: “Diamo alle donne i mezzi per combattere la violenza”. Un messaggio importante, certamente, ma che sembra lasciare il peso della responsabilità sulle spalle di chi già porta i segni di un problema che non ha generato.

Poi, su uno di quei manifesti, una mano anonima ha cancellato il claim originale e scritto: “Diamo agli uomini la capacità di non essere violenti”. Ed ecco che, con un gesto semplice e diretto, quel messaggio è diventato completo.

Io raramente commento le campagne marketing perché, ovviamente, sono fatte da tante persone: c’è un lavoro dietro, e criticare determinate campagne mi sembra un po’ sminuire il lavoro dei professionisti e così via. Però, nello stesso momento, quando ho visto proprio questo claim, questa campagna, non ho potuto fare a meno di riflettere. È stata fatta seguendo un paradigma che io non concepisco. Non riesco a capire perché una campagna debba dire ciò che deve fare una donna, quando è proprio lei che subisce. Se gli uomini fossero tutti positivi, rispettosi e non aggredissero, non ci sarebbe questa violenza. Per questo, non mi spiego perché una campagna simile debba lanciare un messaggio che sembra quasi addossare il problema a chi già lo vive sulla propria pelle.

È bastato un tratto di penna a rimettere le cose al loro posto. A dire quello che dovrebbe essere ovvio: non sono le donne che devono imparare a difendersi; sono gli uomini che devono imparare a non aggredire. Non è questione di mezzi, è questione di mentalità, di educazione, di responsabilità collettiva.

Quella scritta anonima, comparsa in un luogo che attraversiamo ogni giorno senza guardarci attorno, ha restituito il sensovero del messaggio. Ha capovolto il paradigma senza bisogno di un grande budget, di uno slogan studiato in agenzia o di un hashtag virale. Ha fatto quello che una campagna pubblicitaria raramente riesce a fare: colpire al cuore, far riflettere, spostare la responsabilità dove davvero deve stare.

E allora mi chiedo: è davvero necessario che una mano anonima si prenda l'onere di dire quello che tutti noi, come società, dovremmo già aver capito? O forse dovremmo iniziare a riscrivere non solo i claim delle campagne, ma anche i presupposti culturali che le generano?

Quella scritta non è solo un'aggiunta: è una lezione. E forse dovremmo ringraziare chi l'ha lasciata. Perché è bastata una mano anonima a dare senso a tutto.

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