Perché per me l'esperimento del Foglio Ai è fallito

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di Rosamaria Fumarola

L'intelligenza artificiale sarà uno strumento al quale ci abitueremo, a cui affideremo lo svolgimento di compiti che da sempre abbiamo svolto noi e su questo non vi possono essere dubbi. Sarà un mezzo più sofisticato e potente di quanto fino a pochi anni fa ciascuno di noi non avrebbe anche solo lontanamente immaginato e rappresenterà una rivoluzione che potrebbe rendere le nostre vite più semplici. Ciò dipenderà ovviamente dall’utilizzo che saremo in grado di farne e dai miglioramenti che anche per l'intelligenza artificiale si renderanno necessari.

In ambito giornalistico è noto che ormai da anni si faccia un uso dichiarato di AI per l'elaborazione di testi semplici. È certo possibile che la si adoperi in maniera più massiccia di quanto non venga ufficialmente ammesso, ma ad ogni modo la nuova uscita del Foglio in versione AI pare un sasso lanciato sull'altra sponda del fiume che però finisce col cadere in acqua. La scelta di fare uscire per un mese anche la versione AI del quotidiano è motivata in uno scritto in cui si fa un elenco dei vantaggi che un articolo "artificiale" presenta, primo fra tutti il suo non dover essere politically correct come tutti gli articoli scritti invece da giornalisti in carne ed ossa. Si ritiene dunque che ci si possa affidare alla logica di AI per conoscere i fatti per ciò che sono veramente.

Spiace tuttavia sottolineare che far dire ad AI ciò che, se espresso da un cittadino, potrebbe essere passibile di interventi della magistratura è un espediente elementare e moralmente discutibile. Allo stato attuale gli articoli pubblicati sul Foglio AI hanno lo stesso appeal di un venditore di pelapatate ad una sagra paesana e questo dice tutto che è necessario sapere sull'orientamento di chi è dietro la testata da sempre. Mi pare dunque un esperimento fallito, che in parte la stessa redazione del quotidiano ha ammesso.

Nonostante ciò gli scritti pubblicati mi hanno colpito per una diversa questione. In quanto elaborati da AI, hanno un ritmo immutato dal principio alla fine e per questo innaturale, peraltro anche ad una lettura superficiale rivelano uno stile inevitabilmente elementare, molto simile a quello dei sussidiari in uso nelle scuole per bambini di età non superiore agli otto anni. Questo è tuttavia migliorabile, come lo sono tutti gli aspetti di uno strumento tecnologico appunto. La caratteristica elencata per prima mi pare invece molto più interessante, perché mi ha ricordato il modo di esprimersi di Donald Trump. L'inquilino della Casa Bianca ha un eloquio molto innaturale perché non presenta alcuna variazione di tono ed intensità dall'inizio sino alla fine di ogni suo discorso ufficiale: Trump con una forza che non cambia mai si rivolge ai suoi interlocutori, impedendo così che essi sviluppino argomenti validi per controbattere e questo indipendentemente dai contenuti che esprime. È la forza che legittima quanto dice, anche se le cose espresse possono apparire prive di senso. I periodi usati sono inoltre brevi e mai complessi, poco più che slogan elaborati appunto da AI. Persino l'espressione del volto di Trump non muta mai e tutto ciò non può ovviamente essere casuale.

Benché porre in correlazione AI con l'eloquio trumpiano possa apparire azzardato ed in una certa misura fantasioso, resto persuasa che durante questo nuovo mandato ci troviamo di fronte ad un Trump differente e la novità è sotto gli occhi di tutti: i suoi collaboratori, primo fra tutti ElonMusk. Gli strumenti e le risorse che personaggi come Musk hanno messo a disposizione del presidente lo hanno rafforzato oltremodo, rendendolo più simile al personaggio imbattibile di un videogioco, che ad un essere umano dotato di passioni e debolezze. L'utilizzo attuale di tecnologie come AI (ma non solo) è in questo momento pure politico ed è volto alla creazione ed al mantenimento di un’oligarchia di destra, anche quando a servirsene è il quotidiano di una "piccola e remota provincia dell'impero" quale il Foglio di Giuliano Ferrara.

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