Turchia, le mosse di Erdogan per piegare le opposizioni. Arresti, ricatti ai curdi e riforma costituzionale: ecco il piano per la rielezione

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La notizia dell'arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, la mattina del 19 marzo, ha sconvolto la Turchia. Il primo cittadino è una figura di spicco dell'opposizione turca e da mesi si rincorrevano le voci sulla sua candidatura per le Presidenziali del 2028 come rappresentante del Partito repubblicano Chp. Il suo arresto arriva in un momento ben preciso e poco casuale. Il 23 marzo sono previste le prime primarie nella storia del Chp e Imamoglu era dato largamente per favorito. Nessuno degli altri candidati ha lo stesso grado di popolarità tra l'elettorato turco, senza contare che l'unico vero sfidante, il sindaco di Ankara Mansur Yavas, aveva già fatto un passo indietro alcune settimane prima. La situazione in realtà si era già complicata nei giorni precedenti, quando l'Università di Istanbul aveva dichiarato falsa la laurea conseguita negli anni Novanta da Imamoglu. Per candidarsi alle presidenziali in Turchia è necessario avere un titolo di studi universitario, per cui ci si interrogava già su cosa Imamoglu avrebbe fatto per superare questo ostacolo burocratico. Il sindaco tra l'altro era in attesa della sentenza della Corte d’Appello sulla condanna a due anni comminatagli per insulti alla Commissione elettorale. In caso di conferma, avrebbe dovuto rinunciare alla vita politica e non si sarebbe dunque potuto presentare alle prossime elezioni.

L'ondata di arresti condotta il 19 marzo, però, non ha interessato solo il primo cittadino della città sul Bosforo. Nello stesso giorno sono state arrestate altre cento persone, tra cui giornalisti, imprenditori e due sindaci distrettuali di Istanbul del Partito repubblicano. Questo ennesimo raid della polizia è solo l'ultimo di una lunga serie di arresti che da mesi interessa le forze dell'opposizione e che ha già visto finire dietro le sbarre sindaci dell'opposizione filo-curda, reporter e anche avvocati. Il copione è lo stesso visto dopo le elezioni locali del 2019 e del 2024, ma questa volta c'è un elemento in più da considerare. Il 27 febbraio il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), Abdullah Öcalan, ha annunciato la fine della lotta armata contro lo Stato turco, spostando di fatto la risoluzione della questione curda dal piano militare a quello politico. La controparte governativa non ha fatto nessuna promessa ufficiale, ma l'aspettativa era di un maggiore rispetto dei diritti dei curdi e l'apertura di un dialogo politico. Meno di un mese dopo, la posizione del governo è rimasta invariata.

L'arresto del sindaco di Istanbul però si lega ai rapporti tra Erdogan e i curdi. Il presidente vuole cambiare la Costituzione per potersi ricandidare nel 2028, ma per farlo ha bisogno anche del sostegno di una parte dell'opposizione, come ad esempio quella curda. L'appoggio del Partito Democratico dei Popoli curdo (Dem) sarebbe necessario anche per vincere le elezioni, per questo per Erdogan è importante spezzare l'alleanza tra esso e i repubblicani. Un'alleanza che gli ha dato non poco filo da torcere nelle passate tornate elettorali. Per il presidente, dunque, la risoluzione della questione curda è una carta da giocare per costringere il Dem e i suoi elettori ad agire secondo i suoi schemi. In caso contrario, il presidente potrebbe non solo colpire la minoranza curda in Turchia, ma riprendere anche ad attaccare la componente curda in Siria. La posizione del Dem dunque è molto delicata e il colpo appena inferto al Chp rischia di renderla ancora più precaria.

Agli arresti della giornata ha fatto seguito anche l'imposizione di forti limitazioni alla libertà di movimento all'interno di Istanbul. Zone sensibili come piazza Taksim sono state blindate e ogni protesta è stata interdetta per quattro giorni. Una misura, quest'ultima, che non si vedeva dai tempi delle proteste antigovernative di Gezi Park, più di dieci anni fa. Anche l'accesso ai social è stato fortemente limitato e in tutto il Paese si segnalano problemi di connessione internet. Tutti questi elementi dimostrano chiaramente il costante deterioramento dei diritti umani in Turchia, il crescente autoritarismo del presidente Erdogan e la strumentalizzazione del sistema giudiziario. Negli ultimi mesi la magistratura è stata sapientemente usata per colpire forze dell'opposizione curda e repubblicana, ma nel mirino è finita anche quella di destra. A fine gennaio il leader del partito di estrema destra Zafer, Ümit Özdağ, è stato arrestato con l'accusa di "insulto al presidente".

Voci di protesta si sono levate a livello internazionale contro l'erosione della democrazia in Turchia, ma il quadro generale sembra legittimare un atteggiamento sempre più apertamente autoritario da parte di Erdogan. Il ritorno alla guida degli Stati Uniti di una figura come quella di Donald Trump ha galvanizzato personaggi già autoritari come Erdogan, meno preoccupati rispetto al passato delle conseguenze internazionali che la riduzione degli spazi democratici in patria potrebbe avere. Anche il cambio di posizione dell'Unione europea nei confronti della Turchia potrebbe favorire il presidente Erdogan. A livello Ue nel giro di poche settimane si è tornati a parlare di Ankara come di un alleato strategico, soprattutto per quanto riguarda la difesa comune. L'Ue poi ha bisogno della Turchia per poter dialogare con il nuovo governo siriano, oltre che per l'annosa questione della gestione dei flussi migratori. Tutti questi elementi permettono ad Erdogan di agire senza temere una presa di posizione veramente dura da parte dell'Ue, se non a parole.

Adesso l'attenzione è diretta verso quella che sarà la reazione della popolazione turca. Il divieto di manifestazioni e il blocco dei social media renderanno più complesso l'organizzazione di proteste anche solo a Istanbul, ma i problemi non sono solo di tipo logistico. La repressione delle forze dell'ordine si è fatta sempre più dura e il controllo della magistratura ha permesso al governo di punire in maniera particolarmente severa anche i cittadini che partecipano alle manifestazioni. Il prezzo del dissenso si è fatto molto più alto.

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