Una storia dimenticata: l'altra Resistenza degli Internati militari italiani
Ieri alle 01:30 AM
Chi conosce in Italia – tra la gente comune – la storia degli oltre 600.000 militari italiani internati nei lager nazisti dopo l’armistizio dell'8 settembre 1943, perché avevano rifiutato di entrare nelle forze armate tedesche o della Repubblica sociale fascista (Rsi)? Pochissimi.
Voglio quindi proporre una riflessione, mentre si sta per celebrare il Giorno della Memoria, ché il 27 gennaio è dedicato (in base alla legge 20 luglio 2000, n. 211) agli oltre 800.000 nostri connazionali segregati dagli hitleriani, di cui circa 80.000 morti o uccisi durante la prigionia. Premetto che non intendo mettere in competizione le varie categorie di coloro che sono stati rinchiusi in lager o campi di sterminio. Semmai prevale l'orrore che, a 80 anni dalla fine della II Guerra mondiale, tutti dobbiamo o dovremmo provare (inclusi i nostalgici o ammiratori, più o meno espliciti, di nazismo e fascismo, che calcano tuttora la scena nazionale e internazionale).
Detto questo, ecco un secondo conseguente quesito: quale categoria di prigionieri italiani del Reich ha pagato di più, dal punto di vista numerico, la ferocia nazifascista?
Di fronte a questa ulteriore domanda, la grande maggioranza dei cittadini, giovani e meno giovani, oggi certamente pensa (come confermano alcuni sondaggi) che siano state le persone con radici ebraiche, prese di mira dal razzismo antisemita. In effetti il dramma della Shoah (favorito nel nostro Paese dalle leggi razziali mussoliniane emanate nel 1938, poi inasprite dalla Rsi) è quello più noto. Secondo la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea Cdec, da settembre 1943 sono stati 7.579 gli italiani ebrei identificati e arrestati da nazisti e fascisti, di cui 6.806 deportati nei campi di sterminio (733 erano bambini e ragazzini nati dopo il 1929); ne sono tornati solo 837, di cui 121 bimbi.
Di certo dunque, percentualmente, gli ebrei sono stati i più colpiti: ne è sopravvissuto appena l'11% (a livello europeo gli ebrei uccisi furono 6 milioni). Tuttavia nei campi di sterminio finirono anche altri 33.000 italiani, di cui 12.000 assassinati: erano partigiani e prigionieri politici. Furono segregati anche circa 80 sinti e rom (con una percentuale di sopravvivenza pari a quella degli ebrei) e alcuni Testimoni di Geova (a causa del credo religioso e del rifiuto delle divise militari).
Torniamo alla seconda domanda. La risposta è questa: il maggior numero di prigionieri segregati, affamati, schiavizzati e spesso uccisi è rappresentato dagli internati militari, chiusi in campi terribili, seppur diversi da quelli di sterminio; su 810.000 soldati catturati dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943, solo il 9% accettò di combattere ancora a fianco dei nazifascisti. Sul sito di Anei, l'associazione che i reduci fondarono nel 1945 (oggi animata da figli, nipoti e simpatizzanti), si legge che finirono dietro il filo spinatotra 600 e 700mila soldati, dei quali circa il 10% morì tra esecuzioni, malattie e fame: “La truppa fu sottoposta in condizioni disumane a lavoro coatto (sono stati definiti "schiavi di Hitler", nda) […]. I caduti […], secondo i dati della Cri, sarebbero stati circa 78.000, secondo OnorCaduti 60.000, ma si tratta di calcoli approssimativi che non tengono conto della percentuale altissima di malati che morirono dopo il rientro”.
Chi conosce oggi questa vicenda? Pochissimi. Io la conosco perché sono figlio di Pietro (La Spezia, 1921-2004), un Imi (in tedesco Italienische Militärinternierte, neologismo voluto per negare i diritti garantiti ai prigionieri di guerra). Papà mi raccontava quello che aveva passato. Ne ho scritto un anno fa in due articoli. Uno è su Strisciarossa.it; l'altro, dedicato alla rinascita di Anei a Milano nel febbraio 2024 (ne sono il presidente, il vice è Luciano Belli Paci, figlio di Liliana Segre e di Alfredo, un Imi), è su questo blog.
Però non ricordo di aver mai letto sui libri scolastici la storia degli Imi, né ricordo che un docente me l'abbia spiegata; spesso persino chi oggi ha a cuore la militanza antifascista non è consapevole di ciò che successe agli internati. Per tante ragioni – politiche, storiche, culturali e sociali – la memoria degli Imi nel Dopoguerra è stata cancellata o denigrata o censurata, pure a sinistra.
Basti pensare che nel 1954 anche il futuro segretario del Pci Alessandro Natta (1918-2001), ex Imi, non riuscì a pubblicare un suo libro, L'altra Resistenza, perché giudicato "editorialmente" inopportuno dalla casa editrice del partito (lo ha pubblicato Einaudi 43 anni dopo, nel 1997). Da qualche anno – grazie a un maggiore interesse da parte degli storici, grazie a tanta memorialistica e soprattutto grazie ad Anei e ad altre associazioni antifasciste (come Aned, Anrp, Anpc, Anpi) – si sta tornando a parlare degli "schiavi di Hitler".
Dal 2007 due volte l'anno (su richiesta degli interessati) lo Stato conferisce agli Imi (ormai ai familiari, visto che i rarissimi ex internati ancora vivi hanno almeno 100 anni) le medaglie d'onore. Però chi vuole ricordarli in sedi pubbliche fa ancora fatica. Di certo, il 25 aprile è difficile essere accolti sui palchi delle maggiori manifestazioni dedicate all'Anniversario della Liberazione: a Milano, durante la manifestazione nazionale, non succede da mezzo secolo (quest'anno la sezione locale di Anei ha chiesto di avere un piccolissimo spazio: vedremo).
C'è chi spera intanto nell'efficacia della "Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale" che diventerà una delle 50 ricorrenze nazionali religiose e laiche (quasi tutte ignote ai più) riconosciute dallo Stato. L'8 gennaio 2025 è stata approvata in via definitiva dal Parlamento: cadrà d'ora in poi il 20 settembre, anniversario del giorno in cui nel 1943 Hitler bollò i soldati ribelli come Italienische Militärinternierte.
La Giornata include anche 100.000 lavoratori coatti civili italiani – uomini e donne – ed è cara al deputato di Forza Italia Giorgio Mulè, stimolato da Anrp, associazione che si dedica a tutti i prigionieri di guerra, inclusi quelli catturati dagli Alleati. Un'iniziativa approvata da ogni partito che coinvolge nella realizzazione delle iniziative, oltre ad Anrp e Anei, anche l'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (Aned). Purtroppo il suo varo è stato ignorato da quasi tutti gli organi d'informazione, a riprova dello scarso interesse.
Soprattutto all'interno di Anei e Aned si è molto dibattuto, non senza contrasti, sull'opportunità dell'iniziativa firmata Mulé e Anrp. Perché potrebbe isolare ancora di più il ricordo degli Imi dalle altre giornate in cui dovrebbero essere protagonisti, quella della Memoria (27 gennaio, che per legge include anche gli Imi) e l'anniversario della Liberazione (25 aprile), cui gli stessi internati dettero un formidabile contributo rifiutando di combattere a fianco dei nazifascisti.
Come ha scritto il professor AlessandroFerioli, storico dell'internamento, la nuova giornata “può avere l’effetto positivo di concentrare l’attenzione […] il 20 settembre. […] Tuttavia, […] se è vero che la memoria deve esprimere la peculiarità dell’esperienza degli Internati Militari Italiani, […] è anche vero che essa deve mantenere l’unità di esperienze che, pur nella differenza di circostanze e modi, hanno avuto, come componente comune, il sistema dei lager”. Insomma, la battaglia degli Imi per farsi conoscere e riconoscere, piuttosto che isolare, continua, 80 anni dopo la loro liberazione.
Nota: per inquadrare le dimensioni dell’immane massacro perpetrato dai nazisti e dai loro alleati, fascisti inclusi, è opportuno ricordare, attraverso l'Enciclopedia dell'Olocausto, qualifiche e numero complessivo delle vittime europee, oltre a 6 milioni di ebrei: prigionieri di guerra sovietici (circa 3,3 milioni), polacchi (1,8 milioni), rom e sinti (tra 250.000 e 500.000), civili serbi (310.000), disabili (tra 250.000 e 300.000), oppositori politici tedeschi (decine di migliaia), tedeschi classificati come "criminali professionisti" e "asociali" (circa 35.000), Testimoni di Geova (circa 1.700), uomini accusati di omosessualità (centinaia, forse migliaia), persone afrodiscendenti che vivevano in Germania (numero sconosciuto, probabilmente migliaia). In totale, furono uccise sistematicamente nei lager oltre 12 milioni di persone.
Photo credits: archivio Anei.it
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