Il bambino che subì i crimini di Mengele, "la matta di piazza Giudia" eroina di Roma, il caporale che rifiutò Salò: 10 pietre d'inciampo che raccontan
Ieri alle 04:48 AM
In tedesco si chiamano "stolpersteine", in italiano "pietre d'inciampo". Sono realizzate con un piccolo blocco quadrato di pietra ricoperto di ottone lucente e poste davanti alla porta della casa nella quale ebbe ultima residenza un deportato nei campi di sterminio nazisti: ne ricordano il nome, l'anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione, la data della morte. L'idea è venuta all'artista berlinese Gunter Demnig come reazione a ogni forma di negazionismo e di oblio, per ricordare tutte le vittime che per qualsiasi motivo di religione, razza, idee politiche, orientamenti sessuali, siano state perseguitate. In Europa ne sono state installate già oltre settantamila, dalla Norvegia alla Grecia, dalla Spagna alla Romania. In Italia le pietre sono oltre 3mila: le prime sono state posate a Roma nel 2010 in viale Giulio Cesare 103, a ricordare la deportazione di 2mila carabinieri. Attualmente se ne trovano in diverse città, da Nord a Sud, da Milano a Napoli. Siamo andati alla ricerca di cinque "stolpersteine" simboliche per raccontare la loro storia, tragicamente analoga a quella di migliaia di altri italiani deportati anche per volontà del regime fascista.
Roma, via Dei Giubbonari, civico 30. Qui risiedeva Settimio Limentani nato il 29 aprile 1919. Figlio di David e Virginia Piperno, viene arrestato insieme al fratello Angelo e ad altri membri della famiglia Tagliacozzo, anche loro residenti nell’edificio, dopo una delazione. Viene portato prima al Commissariato di piazza Farnese, poi a Regina Coeli, quindi al campo di concentramento di Fossoli. Infine è deportato ad Auschwitz il 30 giugno 1944. I nazisti, in fuga con l’avvicinarsi degli uomini dell’Armata Rossa, lo abbandonano nell’infermeria del campo. Sopravvive – a differenza del fratello – e fa ritorno a casa. Insieme a lui c’è Sami Modiano, uno dei più noti testimoni della Shoah. Un’altra pietra, a fianco, ricorda il padre, David Limentani nato a Roma il 27 maggio 1890 e morto nell'eccidio delle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944: figlio di Sabato e Rosa Sabatello, era stato arrestato nel corso del rastrellamento del ghetto, il 16 ottobre 1943.
Roma, via Portico D'Ottavia, civico 1. Qui si ricorda Elena Di Porto nata l'11 novembre 1912. Figlia di Angelo e Grazia Astrologo. Anticonformista, pioniera del femminismo, carattere forte e ribelle, insofferente all’autorità fascista, povera e poco scolarizzata, ma impavida: la chiamano la “matta di piazza Giudia” per via dei suoi ricoveri all’Ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà. Quando dopo le leggi razziali vede i fascisti schiaffeggiare un ebreo interviene e si prende a pugni con gli aggressori. Viene arrestata, spedita al confino di polizia in Sicilia dal 1940 al 1942. Viene liberata dagli alleati e tornata a Roma, dopo l'8 settembre 1943, organizza una squadra di giovani ebrei del ghetto di Roma e combatte a Porta San Paolo. Sfuggita al rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943, si consegna alle SS dopo essere venuta a conoscenza della deportazione dei familiari. Il 18 ottobre 1943 è deportata da Roma ad Auschwitz. Non sopravvive. Muore a poco più di trent’anni. A lei è dedicato il libro La matta di piazza Giudia, firmato dallo storico Gaetano Petraglia, archivista presso l'Archivio Centrale dello Stato.
Milano, via dei Chiostri, civico 2. Qui lavorava come architetto Gian Luigi Banfi, detto Giangio, nato il 2 aprile 1910. Arrestato a Milano il 21 marzo 1944 per attività cospirativa antifascista, deportato a Fossoli il 27 aprile 1944 e quindi a Mauthausen il 4 agosto 1944, muore il 10 aprile 1945 nel campo di Gusen. Laureato in architettura al Politecnico di Milano, fondò lo studio BBPR insieme ai colleghi Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers. Lo studio sarà punto di riferimento per l’architettura razionalista italiana. Ma lo diventerà poi anche per la Resistenza milanese e per il movimento Giustizia e Libertà che Banfi contribuirà a fondare così come il Cln. Il 21 marzo 1944 Banfi e Belgiojoso vengono arrestati e condannati, senza processo, alla deportazione per spionaggio e distribuzione di stampa clandestina. Partito dal Binario 21 per il campo di transito di Fossoli, non fa più ritorno a casa. Muore per la fame, le torture, le sevizie e le malattie a soli 35 anni il 10 aprile 1945: pochi giorni prima della fine del conflitto. Belgiojoso tornerà a Milano e lo studio ricomincerà a lavorare mantenendo inalterata la sigla BBPR, in memoria di Banfi.
Milano, via Caravaggio, civico 1. Qui abitava Maria Fontanin Fillinich. Nata a Maniago il 18 novembre del 1889 viene arrestata a Milano il 15 giugno del 1944 e assassinata a Ravensbrück il primo marzo del 1945. Nel marzo del 1919 sposa Aldo Fillinich, triestino di origine croata e la coppia si trasferisce a Milano. Fillinich, convinto antifascista, segnalato dalla Prefettura di Milano e internato nel campo di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, fin dal settembre del 1940, viene trasferito al campo di Grado nel luglio del 1941 e quindi a Barisciano, in provincia de L'Aquila, nel 1943. Tornato in libertà dopo l'8 settembre, Fillinich si unisce ai partigiani attivi nella zona di Palazzo d'Arcevia, nelle Marche. Proprio per questo l'ufficio politico investigativo della polizia fascista si presenta in via del Caravaggio e arresta Maria Fontanin insieme al figlio Luciano. Trattenuta inizialmente nella guardiania di via Copernico, Maria viene trasferita il 19 giugno a San Vittore "per motivi di pubblica sicurezza". Il 5 ottobre, con il trasporto numero 91, viene deportata a Ravensbrück, matricola 77354. Dalla testimonianza di alcune compagne di prigionia riuscite a sopravvivere si sa che lì Maria si ammala gravemente. Muore nel marzo del 1945.
Venezia, Cannareggio, civico 6042. Qui stava Eugenio Saraval, nato nel 1898, arrestato il 30 ottobre 1944 e deportato a Ravensbruck dove viene assassinato. Figlio di Benedetto ed Elisa Errera, era fratello di un noto medico che operò a Venezia, Umberto Saraval. Sposato con Rosa Sartori, laureato in chimica e farmacia. Viene arrestato su delazione di un conoscente veneziano nel suo appartamento sopra la farmacia. Al momento della cattura è presente il nipote Anteo che si salva grazie alla domestica che lo indica come un appartenente ad una famiglia del vicinato. Trasferito alla Risiera di San Sabba, Saraval viene poi deportato a Ravensbruck, dove viene assassinato. La moglie non resse al dolore e poco dopo si tolse la vita.
Genova, via Giovanni Bertora. Qui hanno vissuto per i primi pochi anni della loro vita Roberto e Carlo Polacco, nati rispettivamente il 30 luglio 1937 e il 6 ottobre 1938. Sono i figli dei custodi della sinagoga. Vengono arrestati e deportati quando hanno compiuto da poco 6 e 5 anni. Il 3 novembre 1943 il padre Albino viene messo di fronte a una scelta ignobile e infame, come spesso sono state le operazioni di fascisti e nazisti contro chi avevano scelto come nemici. Albino, su ordine dei nazisti, deve radunare il maggior numero di ebrei possibile all'interno della sinagoga in modo che possano essere catturati. Se si rifiuta le SS uccideranno i suoi figli. Albino accetta, telefona a tutti gli ebrei di Genova. Ma la retata non basta, il tic dell’infamia non manca neanche stavolta al curriculum dei nazisti. La famiglia Polacco viene rinchiusa e inviata ad Auschwitz insieme ad altri venti ebrei arrivati in sinagoga. Roberto e Carlo furono uccisi appena arrivati al campo di sterminio.
Bologna, via Rimesse, civico 25. E’ dove vivevano Jole, Nella e Angela Baroncini, arrestate insieme al padre Adelchi e alla madre Teresa Benini. E’ il 24 febbraio del 1944: Jole ha 27 anni, Nella 19, Lina 21. Adelchi è uno dei lavoratori dell’Oare, l’officina di riparazione degli automezzi dell’esercito, che appartengono a un comitato antifascista e sono accusati di sabotaggio della produzione bellica. A casa di Baroncini la Gestapo trova una piccola stamperia clandestina: macchine da scrivere, materiale di propaganda. Angela, che tutti chiamano “Lina”, tenta vanamente di addossare su di sé tutta la responsabilità di quello che è stato trovato a casa. Non serve a niente. Tutta la famiglia viene arrestata e portata in carcere. Adelchi e Lina restano per un mese al comando delle SS di Bologna. Lei viene picchiata più volte perché parli, è costretta ad assistere alle torture alle quali è sottoposto il padre: “L’avevano legato alle mani e ai piedi e lo tiravano su e giù con una carrucola…”. Dopo la solita macabra pausa a Fossoli, sono deportati nei lager. Adelchi morirà ad Hartheim, Teresa e Jole a Ravensbruck. Solo Nella e Lina torneranno a Bologna. Nel 1978 testimoniarono nel libro Le donne di Ravensbrueck. Testimonianze di deportate politiche italiane. Nella proseguirà il suo percorso di testimonianza in altri volumi e programmi tv.
Livorno, via Giuseppe Chiarini, civico 2a. Qui abitava Frida Misul, nata il 3 novembre 1919 e morta nel 1992 a 73 anni. E’ di famiglia ebraica, fa la cantante e dopo l’introduzione delle leggi razziali fasciste prova a eludere il regime esibendosi con uno pseudonimo, Frida Masoni. Fu arrestata il primo aprile 1944 dalla polizia italiana ad Ardenza, un quartiere della città, e trasferita nel campo di concentramento di Fossoli, viene brutalizzata durante gli interrogatori perché riveli il nascondiglio dei familiari e del cugino Umberto unitosi ai partigiani. Non cede ed è deportata ad Auschwitz. Prima sottoposta ai lavori forzati, poi ricoverata nell'ospedale del campo, viene salvata dalla sua voce di cantante: la domenica si esibisce per le SS. Dopo vari trasferimenti viene liberata dal lager di Theresienstadt. E' suo uno dei primissimi memoriali di deportati ebrei: Fra gli artigli del mostro nazista viene pubblicato da Belforte nel 1946.
Ancona, via Esino, civico 90. Qui è nato LambertoMorbidelli, nato nel 1910 nella zona di Torrette: all’epoca si chiamava via Osteria Nuova. Padre repubblicano e madre anarchica, andavano in giro appuntandosi un grande fiocco nero, importante simbolo anarchico. Conducente, successivamente operaio al cantiere navale, infine militare. Morbidelli era caporale del Regio Esercito dislocato in Albania quando – dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943- si rifiutò di arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana, lo Stato fantoccio collaborazionista che Benito Mussolini sostanzialmente sotto il tallone del Terzo Reich. Morbidelli è arrestato e deportato in Germania, destinato al campo di Schleswig dove muore il 2 novembre 1943 per una frattura al cranio, si ipotizza avvenuta durante un incidente industriale o una caduta da un'impalcatura: ha 33 anni. È stato inizialmente sepolto nel cimitero militare italiano di Amburgo, poi le spoglie furono riportate nel cimitero di Falconara Marittima, su richiesta dei familiari.
Napoli, via Morghen, 95. Qui è nato Sergio De Simone, nato il 29 novembre del 1937. Figlio di Edoardo, cattolico, e Gisella Perlow di origini ebraiche. La coppia si trasferisce da Fiume, luogo di residenza della famiglia di Gisella, a Napoli, ma in seguito al richiamo del marito alle armi, la madre e Simone torna a Fiume. Il 21 marzo 1944, per effetto di una delazione, i tedeschi arrestano 8 componenti della famiglia, inclusi la madre Gisella, Sergio (6 anni), e le cuginette Andra e Tatiana Bucci di 6 e 4 anni, che diventeranno tra le più attive testimoni della Shoah. Trasferiti prima alla Risiera di San Sabba e e poi deportati ad Auschwitz, Simone è trasferito al campo di Neuengamme. Sarà l’unico bambino italiano tra i venti di varie nazionalità scelti dal dottor Josef Mengele – il criminale Angelo della morte – a far da cavie umane a disposizione del dottor KurtHeissmeyer e dei suoi esperimenti sulla tubercolosi. Con l’avanzata degli alleati al lager, da Berlino ordinano di cancellare tutte le prove degli esperimenti. Simone e gli altri bambini vengono trasferiti alla scuola Bullenhuser Damm di Amburgo e qui vengono uccisi con un’iniezione di morfine e con l’impiccagione. I loro corpi saranno cremati. E’ il 20 aprile 1945: dieci giorni dopo Adolf Hitler si darà la morte nel bunker della cancelleria.
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Nella foto in alto | Nell’immagine grande le sorelle Baroncini. Nella colonna di destra, dall’alto, Elena Di Porto, gli architetti dello studio BBPR (Banfi è l’ultimo a destra) e Frida Misul
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