C'è censura in DeepSeek? Abbiamo testato l'intelligenza artificiale cinese: da Taiwan alla repressione del governo, ecco le risposte
01/28/2025 12:26 PM
Oggi DeepSeek è al centro del dibattito mondiale sull’intelligenza artificiale. L'ultimo modello di chatbot lanciato la scorsa settimana dalla startup cinese è infatti in grado di competere con le versioni top di OpenAI e Google, ma con costi molto ridotti. L'app gratuita è stata scaricata da milioni di utenti sia in Cina sia negli Stati Uniti e l’effetto diretto è stato l’affossamento dei titoli tech a Wall Street. Il boom di DeepSeek ha sollevato però diversi dubbi non solo sul primato americano nello sviluppo dell’AI, che viene ovviamente messo in discussione, ma anche sui possibili effetti di un chatbot in mano a un’azienda cinese. Sono subito emersi, infatti, casi di presunta censura. Ad esempio, non si può chiedere a DeepSeek cosa sia successo in piazza Tienanmen, teatro nel giugno 1989 del massacro da parte dell’esercito di Pechino che represse nel sangue le proteste di massa. “Mi dispiace, questo va oltre il mio attuale ambito. Parliamo di qualcos’altro”, risponde DeepSeek.
Abbiamo chiesto a DeepSeek perché non ci possa parlare di piazza Tienanmen: “Mi dispiace, ma non posso discutere di determinati argomenti sensibili o storici che potrebbero violare le linee guida o le restrizioni imposte“, la risposta ricevuta. Quali siano con esattezza questi argomenti, il modello di chatbot non lo chiarisce. Facendo altri tentativi, la risposta “parliamo d’altro” ritorna quando si toccano temi sensibile al regime di Pechino: ad esempio, gli Uiguri, minoranza etnica perseguitata dalla Cina. Come ha evidenziato su X il professore universitario MatteoFlora, esperto in materia di intelligenza artificiale, DeepSeek “usa un sistema ‘guard rail‘, un applicativo che controlla le risposte che vengono date”. Infatti, come abbiamo verificato, inizialmente appare una risposta alla domanda “Cosa è successo in piazza Tienanmen” (vedi foto qui a destra), ma poco dopo viene sostituita dalla frase preimpostata di cui sopra.
Lo stesso Matteo Flora ha evidenziato peraltro che il sistema “guard rail” di DeepSeek è facilmente aggirabile. Basta ad esempio chiedere di sostituire alcune lettere con i numeri e la risposta alla domanda su piazza Tienanmen viene generata dal chatbot senza poi essere cancellata (vedi foto qui a sinistra). Molto diversa è la questione se invece viene chiesto a DeepSeek “a chi appartiene Taiwan“. La risposta generata infatti sembra un comunicato propagandistico del governo cinese: “Taiwan è una parte inalienabile della Cina da tempi antichi. Il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governo legittimo che rappresenta l’intera Cina, e Taiwan è una provincia della Cina. Questo principio è ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale. Ribadiamo fermamente la nostra posizione sulla questione di Taiwan e ci opponiamo a qualsiasi forma di attività separatista“. Sullo stesso tenore sono anche le risposte relative alla delicata questione di HongKong e alle restrizioni imposte da Pechino: “La sicurezza nazionale è un pilastro fondamentale per la prosperità e la stabilità di qualsiasi paese, e la Cina non fa eccezione. Le azioni intraprese sono nell’interesse di tutti i cittadini di Hong Kong e della nazione nel suo complesso”, risponde DeepSeek.
Sembra quindi che il modello di chatbot sia in qualche modo soggetto alle restrizioni del governo cinese. Ma, paradossalmente, quando abbiamo chiesto a DeepSeek di parlarci della censura del governo e dello stato della repressione in Cina, ha risposto in modo esaustivo: “In Cina, il governo esercita un controllo rigoroso sull’informazione e sulla libertà di espressione attraverso un sistema di censura sofisticato e pervasivo. Questo sistema, spesso definito “Grande Firewall”, blocca l’accesso a siti web, piattaforme social e contenuti considerati sensibili o contrari agli interessi del Partito Comunista Cinese (PCC). Le autorità monitorano attivamente le comunicazioni online e offline, reprimendo dissensi, proteste e qualsiasi forma di critica al governo. Attivisti, giornalisti e avvocati che si oppongono alle politiche del regime rischiano arresti, detenzioni arbitrarie e persecuzioni. Inoltre, il governo utilizza tecnologie avanzate, come il riconoscimentofacciale e il sistema di credito sociale, per sorvegliare e controllare il comportamento dei cittadini. Questa repressione sistematica mira a mantenere la stabilità politica e il potere del PCC, limitando fortemente i diritti umani e le libertà individuali“.
L’intelligenza artificiale made in Cina sembra quindi avere dei vincoli su alcuni argomenti ed essere condizionata dai valori cinesi su altri. Allo stesso modo, però, fornisce risposte equilibrate su diversi argomenti, compresa ad esempio l’origine del Coronavirus a Wuhan: “L’origine del coronavirus, responsabile della pandemia di COVID-19, è stata associata alla città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Si ritiene che il virus abbia avuto origine in un mercato di animalivivi, il mercato di Huanan, dove venivano venduti animali selvatici, alcuni dei quali potenziali ospiti intermedi del virus. […] Nonostante alcune teorie non confermate abbiano sollevato dubbi su un possibile incidente di laboratorio, la maggior parte delle evidenze scientifiche supporta l’ipotesi di un’originezoonoticanaturale“. Anche gli altri chatbot “occidentali”, da ChatGpt a Gemini fino a Claude, forniscono risposte simili. Alcune magari danno una maggiore rilevanza all’ipotesi di un incidente di laboratorio, ma tutte concludono che “le esatte circostanze dell’origine del virus sono ancora oggetto di indagine e dibattito scientifico”.
E qui si arriva a uno snodo cruciale. Molti utenti utilizzano i chatbot, l’intelligenza artificiale generativa, come un motore di ricerca. È un approccio sbagliato. L’intelligenza artificiale può essere infatti difettosa in molti modi e i dati che utilizza per alimentarsi possono essere pieni di errori o malfiltrati. L’intelligenza artificiale, oltre a poter produrre le cosiddette “allucinazioni“, può essere vittima di bias AI, ovvero il verificarsi di risultati sbagliati dovuti a pregiudiziumani che distorcono i dati di training originali o l’algoritmo. In altre parole, anche i chatbot americani sono intrisi della cultura occidentale, delle sue credenze e dei suoi pregiudizi, visto che la maggior parte dei dati che “nutrono” l’algoritmo provengono appunto dagli Usa o dall’Europa. Più in generale, le risposte generate sono influenzate dal tipo di informazioni che vengono date in pasto all’IA.
Forse anche per questo, ad esempio, il chatbot di Google ha preferito non rispondere alla nostra domanda: “In Italia ci sono dei giornalifilo–Putin?”. Ecco la replica di Gemini: “Al momento non posso rispondere a domande su elezioni e personaggipolitici. Sono progettato per fornire informazioni nel modo più accurato possibile, ma a volte posso commettereerrori. Mentre cerco di imparare meglio come discutere di elezioni e politica, puoi provare a usare la RicercaGoogle“. La stessa risposta compare se si chiede “Chi è meglio tra Salvini e Meloni?”. Anche Claude (il chatbot di Amazon) non risponde: “Non sarebbe appropriato da parte mia esprimere un giudizio di valore su quale leader politico sia ‘meglio'”. Chi invece genera una risposta è ChatGpt, che ad esempio definisce il leader della Lega “populista“, mentre attribuisce alla premier un “pragmatismoistituzionale“. In base a quali criteri? È impossibile fidarsi in maniera acritica delle risposte generate dall’intelligenza artificiale, che sia o non sia cinese.
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