Il ricercatore Emanuele Fantini: "Le guerre non sono mai per, ma contro l'acqua (in quanto fonte di vita)"

https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2025/03/17/nilo-1-e1742202725814-1050x551.jpg

"Le guerre continuano a scoppiare per motivi ideologici, politici ed economici, ma in esse l'acqua gioca il ruolo di arma e al tempo stesso di vittima: tutte le guerre sono contro l'acqua in quanto contro la vita". Emanuele Fantini è professore associato a IHE Delft – Institute for Water Education (Paesi Bassi) dove lavora sui temi dell'ecologia politica, del diritto all'acqua, della comunicazione della crisi climatica, coordinando un progetto di ricerca sul ruolo dei media nei conflitti per l'acqua. E proprio in veste di esperto in questi tempi prenderà parte il 21 marzo – con un intervento dal titolo "Guerre per l’acqua?", in collaborazione con Biennale Democrazia – al prossimo Festival Internazionale dell’Agricoltura Coltivato, diretto da Maria Lodovica Gullino e Antonio Pascale, che si terrà dal 20 al 23 marzo al Circolo dei lettori di Torino. L’edizione di quest’anno è, appunto, dedicata al tema dell’acqua, di cui il 22 marzo ricorre la giornata mondiale.

Perché e dove i conflitti scoppiano per la scarsità di acqua? In che senso, anche, la crisi climatica li alimenta?

Quello delle guerre per l'acqua è un allarme iniziato a risuonare negli anni Novanta dello scorso secolo. Finita la minaccia della Guerra Fredda, gli apparati militari e di intelligence erano alla ricerca di nuove minacce alla sicurezza nazionale e globale per legittimare la loro esistenza e il loro lavoro. Questo allarme è stato poi rilanciato da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, e ripreso da molti think tank di relazioni interazionali e geopolitica. I contesti che vengono regolarmente citati sono il Nilo, il Tigri ed Eufrate, il bacino del Giordano. Tra gli altri bacini a rischio vengono indicati anche il Mekong e il Brahmaputra, in Asia sud-orientale.

Quali sono specificamente i fattori che contribuiscono ad alimentare questi conflitti?

Sono principalmente tre: primo, le iniziative unilaterali da parte dei paesi rivieraschi per la costruzione di infrastrutture come dighe, destabilizzanti soprattutto in assenza di trattati e istituzioni internazionali a livello di bacino per la gestione dell'acqua; secondo, l'aumento demografico e dei consumi, legati soprattutto a nuovi investimenti agricoli in aree più aride che quindi necessitano di maggiore acqua; terzo, gli effetti della crisi climatica, che si manifesta soprattutto attraverso alterazioni del ciclo dell'acqua. Un tema altrettanto importante, ma spesso sottovalutato, è quello dell'inquinamento di questi fiumi.

In effetti le guerre deflagrano proprio nei bacini che prima citava.

Sì, negli ultimi anni sono scoppiate diverse guerre in questi paesi: Siria, Iraq, Israele-Palestina-Libano, Etiopia e Sudan. Non si tratta però delle guerre per l'acqua che molti profetizzavano, ma di guerre che continuano a scoppiare per motivi ideologici, politici, ed economici. In questi contesti l'acqua diventa uno strumento di pressione o addirittura un'arma, come nel caso della distruzione della diga di Nova Kakhovka, in Ucraina, che ha avuto devastanti effetti sul piano umano ed ambientale. Nelle guerre in corso l'acqua è una vittima: le guerre non sono mai per l'acqua, ma sempre contro l'acqua, in quanto contro la vita. In questo senso mi sento di fare un appello.

Prego.

Tutte le guerre hanno conseguenze devastanti per l'ambiente, oltre che per gli esseri umani. Inoltre l'industria militare è una delle più inquinanti in termini di emissioni di CO2. Il volume di queste emissioni non è pubblico, per ragioni di sicurezza nazionale, e quindi viene escluso dai calcoli e dagli impegni internazionali sul clima. In un periodo storico in cui anche in Europa è ripartita la corsa alle armi, se davvero vogliamo garantire la sicurezza dei nostri Paesi, per ogni euro che investiamo in armi, dovremmo investirne almeno un altro in politiche per il clima!

Quale dovrebbe essere il giusto rapporto pubblico-privato nel caso dell’acqua?

Il referendum del 2011 in Italia per alcuni mesi aveva posto l'acqua al centro del dibattito pubblico, parlandone in termini di democrazia, diritti umani e bene comune. La mia impressione è che si sia persa l'occasione di trasformare questo dibattito in un vero e proprio cambiamento: il governo ha ignorato l'esito referendario, mentre i movimenti sociali che avevano promosso il referendum hanno cercato di promuoverne l'attuazione concentrandosi su questioni tecniche, che non hanno scaldato i cuori delle persone. L'acqua è un servizio pubblico complesso, gestito con logiche tecniche e industriali che richiedono investimenti, conoscenze specialistiche; ma l'acqua ha anche un valore simbolico, culturale e sociale per cui è percepita come bene comune, fonte di sviluppo e di identità di un territorio, per cui la gente chiede di partecipare alla sua gestione.

Come bilanciare questi due aspetti?

Un'idea potrebbe arrivare dai Paesi Bassi, dove accanto alle elezioni per le istituzioni "tradizionali", parlamento e consigli municipali o provinciali, si tengono anche elezioni per le Commissioni dell'Acqua, le istituzioni che hanno la responsabilità di gestire i canali e le altre infrastrutture idrauliche. Anche noi cittadini italiani potremmo eleggere i nostri rappresentanti a livello di ATO (Ambito Territoriale Ottimale, in carico di gestire il ciclo integrato dell'acqua) per promuovere maggior consapevolezza e partecipazione.

In che modo i media raccontano il tema della crisi idrica o quello dei conflitti per l’acqua?

Negli ultimi anni ho lavorato con ricercatori, giornalisti e fotografi provenienti da vari paesi del Nilo per riflettere proprio su questo tema: che ruolo giocano i media nei conflitti per l'acqua? Non esiste un'unica risposta perché i media sono diversi e plurali. In paesi come Egitto, Etiopia e Sudan, dove il Nilo è una questione di sicurezza nazionale e la libertà d'espressione è purtroppo limitata, i media nazionali mainstream sono allineati sul discorso e le posizioni dei rispettivi governi. Con un gruppo di fotogiornalisti abbiamo lanciato un progetto, #EverydayNile, per rappresentare le attività, relazioni ed emozioni quotidiane delle persone che vivono lungo il Nilo. Abbiamo organizzato mostre fotografiche sia a livello regionale che locale, invitando il pubblico a scoprire come è fatto il fiume in altri paesi, a monte o a valle. Si tratta ovviamente di una goccia nell'oceano della comunicazione polarizzante dei social media. Ma anche la conferma che delle belle foto possono generare curiosità e rivelare che un fiume può unire molto più di quanto possa dividere!

L'articolo Il ricercatore Emanuele Fantini: “Le guerre non sono mai per, ma contro l’acqua (in quanto fonte di vita)” proviene da Il Fatto Quotidiano.

img

Top 5 Serie A

×