Prodi, tu quoque? La politica mostra una cronica insofferenza verso chi fa informazione

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di Leonardo Botta

Non siamo ai livelli dell'editto berlusconiano, che mandò a calci nel sedere fuori dalla Rai professionisti come Biagi, Santoro, Luttazzi e poi Sabina Guzzanti. Ma la patologica insofferenza che la politica mostra nei confronti dell'informazione mantiene livelli sempre alti. Così, mentre i governi continuano a foraggiare testate (Libero, Il Foglio, Avvenire, Il Manifesto e altri) che talvolta non leggono nemmeno i familiari dei direttori con contributi che drogano il mercato, dalle stanze del potere continuano a registrarsi episodi di sprezzo verso chi fa giornalismo e inchieste che spesso fanno emergere episodi di malaffare o malcostume.

L'elenco è sterminato: gli schiaffi dell'ex ministro Landolfi a un intervistatore, i calci di La Russa a Formigli, reazioni contro inviati di programmi come Striscia o Le Iene. E, naturalmente, le centinaia di querele partite all'indirizzo di Report; portabandiera di quest'ultima crociata è Maurizio Gasparri, che in Commissione Rai brandiva folkloristicamente cognac e carote contro Ranucci e collaboratori (ma detrattori del programma si annoverano anche tra le fila di altre forze politiche: mi vengono in mente Renzi e Vincenzo De Luca); e poco importa che tutte le querele siano finite in assoluzioni. E come dimenticare il sempre proteso dito medio di Daniela Santanchè, o il buon Vittorio Sgarbi, prolifico di insulti contro chiunque osasse piantargli un microfono in faccia? Non si affranca da questo poco edificante elenco neanche la premier Meloni, piuttosto allergica alle inchieste di Fanpage.

Veniamo agli ultimi giorni, in cui si registrano due episodi di sponda politica opposta: il capogruppo di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli, che dà del "pezzo di mer*a" al giornalista e scrittore de Il Fatto Quotidiano Giacomo Salvini, autore del libro Fratelli di chat. E, ultimo ma non ultimo, l'ex premier Romano Prodi, autore di una insolitamente piccata risposta a Lavinia Orefici inviata della trasmissione di Porro Quarta Repubblica.

È proprio sul professore bolognese che vorrei soffermarmi, con lo stupore ("quoque tu?") che fu di Cesare di fronte a Bruto. Ho sempre avuto stima per i modi garbati di Prodi, a cui pure non sono mai mancate critiche da parte di stampa e media avversi. Questo, si sa, è il gioco delle parti e il sale della democrazia: Prodi e Berlusconi hanno incarnato per molti anni lo scontro tra due visioni dell'Italia, ed è fisiologico che ognuno vantasse stuoli di sostenitori, ma anche eserciti di acerrimi "nemici". Ma quello che era il proverbiale giocondo, perfino noioso aplomb del professore è letteralmente andato a farsi benedire l'altro giorno, quando la Orefici ha "osato" rivolgergli una domanda sull'argomento del momento (manco a dirlo, la vicenda del Manifesto di Ventotene).

Il quesito era, a mio avviso, garbato oltre che legittimo; la giornalista chiedeva a Prodi di commentare uno dei passaggi del Manifesto criticati qualche giorno fa dalla presidente Meloni in Parlamento: "La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio". Una domanda che avrebbe potuto offrire all'ex leader del centro-sinistra l'assist per fornire una risposta come quella, magistrale, espressa da Gustavo Zabrebelsky a Gramellini.

L'ex presidente della Consulta ricordava come lo spirito di quel paragrafo del Manifesto fosse stato ben mutuato dall'art. 42 della Costituzione. E che dunque non ci fosse nulla di eversivo nel pensiero di Spinelli, Rossi e Colorni. Invece Prodi ha preferito inscenare una reprimenda non degna del suo stile, arrivando perfino (lo si è capito bene, dopo un paio di giorni di polemiche e "analisi VAR", nel nuovo e chiarissimo video mostrato da Floris) a tirare, certo non con vemenza o cattiveria, i capelli della giornalista.

Cosa dire: alla Orefici voglio esprimere la mia solidarietà. E al prof. Prodi chiederei sommessamente se, dopo tanti anni di onorata carriera, non sia il caso di godersi un po' di meritato riposo.

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