Caos treni, non c'è grave carenza infrastrutturale ma incapacità gestionale
Oggi alle 06:47 AM
Di fronte ai black out ferroviari di questi giorni, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha parlato di decenni di disinteresse, mancati investimenti, “no” ideologici e infine di ridurre il numero dei treni del 15%.
Disinteresse non certo della politica che, in questi giorni, sta "regolando" i conti tra i top manager, come ha spiegato sul Fatto QuotidianoCarlo Di Foggia occupandosi dello spoil system. Una nuova girandola di Presidenti del Gruppo e delle controllate, amministratori delegati e consiglieri di amministrazione per non parlare degli organigrammi chilometrici lottizzati privi di logica razionale. Ogni nuovo capo si porterà dietro i suoi fidati, nessuno dei quali in grado di riconoscere un pantografo, mentre il Gruppo FS – grazie alla sua posizione monopolista – pensa a mostrarsi efficiente con grandi costose e stucchevoli pubblicità.
Disinteresse dei costruttori? Sembra proprio di no. Sono molto attive le loro lobby, stessa cosa per i fornitori di beni e treni o di servizi. Vincere un appalto alle FS non è cosa da poco. Quanto ai mancati investimenti, è vero il contrario: negli ultimi decenni si sono spesi in media 6 miliardi di euro per gli investimenti e 7 miliardi per la spesa corrente. Nonostante questo la quota modale delle FS è del 7% per i passeggeri e del 9% per le merci: la più bassa d’Europa. In questa fase sono troppi gli investimenti del Pnrr (progetti vecchi tolti dal cassetto), più della capacità di spesa di RFI con tempi lunghi di realizzazione e enormi danni all’utenza pax e merci.
Non c’è una grave carenza di infrastrutture, c’è una grave incapacità gestionale derivante dalle garanzie monopoliste del settore ferroviario: nessuna Regione ha affidato i servizi con gara. In tutta Europa le gare hanno avuto successo con riduzione dei costi e aumento dei passeggeri.
Infine quali sarebbero i no ideologici? Sono i sì di Salvini ad essere ideologici (spendere per spendere) irresponsabili, campanilisti, demagogici e senza giustificazione come il Ponte sullo Stretto perché privi di valutazioni tecnico-economiche.
Quanto al da farsi prima di decidere la riduzione dei treni del 15%, c’è da chiedersi chi sono i dirigenti che hanno autorizzato più treni della capacità della rete? Chi sono i funzionari del MIT e del MEF che ne hanno autorizzato il pagamento? Sarebbe meglio abbandonare i progetti del Pnrr non partiti (in primis il Ponte sullo Stretto) e trasformarli in "misure piccole e medie" per eliminare i colli di bottiglia dei nodi: rapidamente si determinerebbe un ottimale rapporto qualità-prezzo dell’investimento e si renderebbe la rete più elastica.
L’attuazione di questi interventi sarebbe accelerata raggruppando gli interventi e snellendo la pianificazione dei cantieri troppo frammentata. Va determinato il numero dei treni per linea in base alla capacità effettiva della stessa (nodi compresi): più aumentano i treni, più deve essere efficiente e potenziata la manutenzione sia per la regolarità della marcia dei convogli che per la sicurezza. Così si può sollevare dallo stato di stress la rete (RFI) e la gestione dei treni (Trenitalia) che la utilizzano, colpevoli entrambi di carenze manutentive, carenza di organici, incapacità di gestione dei turni del personale.
Serve anche un accorciamento della catena di comando per individuare le responsabilità manageriali e l’intrusione della politica che piega e condanna il Gruppo FS all’inefficienza. Clientela e consociativismo vanno ridotti all’osso. In caso contrario i guasti resteranno all’ordine del giorno. Come lo sono da anni oramai.
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