Here di Zemeckis. Un'unica inquadratura fissa in un salotto per il capolavoro sul senso del tempo, del cinema e della vita

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Un'unica inquadratura fissa sull'ampio e luminoso salotto di una casa americana. Tanti tasselli del quadro che si ri-disegnano e si aprono continuamente su passato, presente e futuro di quella porzione di spazio e da chi lo ha abitato, da quando era foresta dei nativi fino ad una famiglia afroamericana nei giorni del Covid. "Certo che il tempo passa veloce". Heredi Robert Zemeckis è un autentico, cristallino, inestimabile capolavoro sul senso (finibile) del tempo, del cinema, della vita.

Tratto ad una graphic novel di Richard McGuire a cui si deve la doppia intuizione visiva (che Zemeckis restringe comunque nell'allungarsi temporale senza ostentare futuri possibili), Here è chiaramente un esercizio di stile cocciuto e personale (Zemeckis usa l'AI Metaphysic Live direttamente mentre gira per ringiovanire gli attori così mette d'accordo sindacati e senso estetico), ma è soprattutto un saggio di cinema popolare e comprensibile, palpitante e malinconico, che nel far affiorare la preziosità di ogni singolo istante dell'esistenza umana e animale fa dialogare da maestro cento anni di cinema con le proprie filosofie di visione e racconto. Del resto Herepotrebbe essere l'osservazione sintetica di Forrest Gump (e Ritorno al futuro) spiato attraverso l'angolo di una living room. Non basta che la piumina che vola nel tempo del film del '94 si ritrovi qui in zampette e becco di un colibrì. In Here i veri protagonisti sono Tom Hanks e Robin Wright Penn, già figure epiche di una mirabolante epopea americana "in movimento", qui costretti a sviluppare una manciata di linee di dialogo e di trama tra le tre pareti teatralmente e spazialmente chiuse di una casa che dà, finestra reale per un'intera parete e finestre immaginarie da ritagliare e riaprire continuamente tra divani e camino, sul resto del mondo.

Hanks e Wright sono Richard e Margaret Young, marito e moglie (si sposano davanti al caminetto del salotto) che abitano il salotto/casa tra gli anni settanta e i primi duemila, per poi chiudere magistralmente il racconto nel 2024. Richard è figlio di Al (Paul Bettany) e Rose (Kelly Reilly), la coppia che aveva abitato precedentemente la casa tra gli anni quaranta e settanta, a sua volta succeduta alle prime due coppie che tra inizio novecento – quando la casa è stata costruita – e anni trenta l'avevano abitata. Tutte le coppie sono come state anticipate a vivere in quel preciso "spazio" da dinosauri in fuga, una coppia di nativi americani e da una strada con bosco e soldati indipendentisti di fronte alla casa coloniale del lealista William Franklin.

Appunto, rimanendo fissi nello stesso punto con l'inquadratura unica del film sono le porzioni/tasselli rettangolari che si aprono sullo schermo a far viaggiare lo spettatore in un andirivieni nella storia, anche se è il blocco narrativo di Richard e Margaret a dominare il racconto. La ripetizione dei salti temporali, di certe gestualità e movimenti (l'entrata in casa con l'appoggiare le chiavi sul comodino, ad esempio) e la fissità di sguardo registica non stuccano mai, complici un leggiadro e trasparente ritmo di montaggio come una partitura sublime di cambio e trasformazione oggetti del set (le tv, le poltrone, le tende e gli stucchi) da parte della production design (Ashley Lamont), giustamente nei titoli di coda davanti al resto della troupe, in una perfetta funzione di dialogo specularmente e materialisticamente differente rispetto all'uso del digitale.

Hereparla di noi, gente comune, piena di debiti e ipoteche, di amorevoli genitori anziani improvvisamente tra i piedi, di spazi personali circoscritti che bastano ed emancipano, poi diventano peso, costrizione, limite, e infine tornano a fornire il senso paradossale di una vita. Tom Hanks è uno dei cinque/sei più grandi attori del mondo e non ci sono questioni o critiche di lana caprina a riguardo. Una notazione finale però va fatta, in merito anche qui alla diacronicità tra le ondate di cineasti che si sono succedute ad Hollywood (in una specie di Here della storia del cinema): mentre le classi '30-'40 dei Coppola e Scorsese all'apice nei '70-'80 si rifugiano da ottantenni in manierismi tromboneggianti, la generazione appena successiva degli Spielberg e Zemeckis che ha definitivamente vinto negli '80-'90 da ultrasettantenni sanno ancora maneggiare e confrontarsi (prendete Here assieme a The Fabelmans) con le fauci del mostro industriale, che li ha ormai fagocitati, con lucidità e "modernità" ineguagliabili. Here è stato scartato in fase di preproduzione dalle grandi major. L’ipotetica strada della Pennsylvania fuori dalla finestra è tutto Pinewood studio londinese. La truppa tecnico-artistica di Forrest Gump è al completo con Eric Roth allo script, Don Burges alla fotografia e Alan Silvestri alla musica.

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