Il canto del Principe, una storia di ecologia e rinascita: nell'ultimo libro Marco Albino Ferrari parla di un albero per parlare di noi
Oggi alle 03:21 AM
Ci sono il Principe, il Sindaco, il Custode. E poi il Musicista, e il Liutaio. Tutti con le maiuscole. Ma non è una fiaba, anche se per certi versi può sembrarlo. È piuttosto una storia – vera – che ci mette di fronte, passo dopo passo, senza strafare, alla nostra finitudine. In definitiva, alla nostra morte. Come persone, come comunità e come umanità. Ed ecco perché Il canto del Principe, l'ultimo profondo e consigliato libro di Marco Albino Ferrari, edito da Ponte alle Grazie (pp. 105, 13 euro), è un libro ecologista. Nel senso più stretto e pratico del termine. Come le fiabe rimaneggiate dai fratelli Grimm, che trasformavano leggende terribili in storie adatte ai bambini, anche quella di Ferrari ha un lieto fine. Ed è lieta la prospettiva che l'autore fornisce sull'uomo, del quale solo i "comportamenti nefasti", come li definisce, vanno denunciati e corretti. Ma non la sua essenza, poiché esso stesso è parte della natura.
La storia vera è quella del Monte Bianco degli alberi, il Principe appunto. L'abete bianco più alto d'Europa, uno dei più vecchi, nato quando ancora la Rivoluzione francese era di là da venire, caduto il 13 novembre del 2017 a Lavarone, nei boschi dell'Altopiano. Ad abbatterlo un forte vento (Vaia arriverà l'anno successivo). Ma a preparare la sua morte, e a sfibrarlo nel corso dei decenni, un incidente a prima vista innocuo: degli incauti escursionisti che ne bruciarono parte del tronco.
Da quel giorno d’autunno, la comunità locale resta senza un riferimento, con un vuoto di senso dentro, come privata di parte della propria identità. In Alberi sapienti, antiche foresteDaniele Zovi mette in fila i grandi e leggendari alberi venerati dagli uomini, sedi di divinità e fonti di epifanie (dall'Epopea di Gilgamesh all'Iliade, passando da Siddharta e Tacito). Ferrari assiste al momento subito successivo al lutto, e a tutto ciò che accadrà dopo. Perché nel frattempo, come racconta, ha messo le radici in quell'area: "Non è vero che noi umani abbiamo legami indissolubili con le nostre origini" ragiona nel libro. "Possiamo trapiantarci senza scompensi e metterci a dimora altrove, rimanendo saldi quanto se non più di prima. A patto che sia una libera scelta". Un po' come ne L'anima innamorata di Alda Merini: "Ci sono betulle che levano le loro radici, e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni".
Intanto c'è la Domanda – quella con la "d" maiuscola – a cui dare una risposta: cosa fare di quel gigante di quasi 55 metri, di più di 5 metri di circonferenza? Si susseguono le riunioni, partecipate, tese, divisive e da un certo punto di vista inconcludenti. Perché le proposte sembrano sempre non all'altezza del Principe. Finché dal nulla non salta fuori il Musicista: "Ricaviamo dall'albero un violino, così la sua anima continuerà a suonare". Dal violino si passa al quartetto d'archi, un quartetto d'archi che potrà suonare il quasi coevo Mozart. L'idea piace. Ma c'è un problema: a suonare sono gli abeti rossi, non quelli bianchi. Ed ecco che ci si rivolge al Liutaio. La perizia dà esito positivo: si può fare. Tempo necessario per stagionare il legno e creare il primo strumento musicale: quattro anni.
Nel libro, come su un binario, c'è la storia emblematica della caduta dell'albero – che rinascerà sotto altra forma – e quella dell'umanità, che sta distruggendo l'unico Pianeta su cui le è dato di vivere. Per Ferrari l'uomo può cambiare, prendendosi cura di sé e della natura. Togliendo il superfluo, lasciando un'impronta ecologica sempre più ridotta, rifuggendo l'idea del consumo a tutti i costi. Ma nel libro trova spazio anche la prima esibizione del violino ricavato dal Principe. "E il pino/ha un suono, e il mirto/altro suono, e il ginepro/altro ancora, strumenti/diversi/sotto innumerevoli dita" scriveva Gabriele D'Annunzio. Ora anche il Principe ha il suo. E chi lo vorrà, lo potrà ascoltare.
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