
Il cuore rimpicciolito, gambe "da pollo" e "cervello allagato": ecco cosa succede al corpo degli astronauti Suni e Barry dopo mesi nello Spazio

Ieri alle 09:26 AM
Ossa come cristallo, muscoli flaccidi, un cervello ‘allagato’ e la sensazione di avere la carta vetrata sulla pelle. È questo il prezzo da pagare per un viaggio nello Spazio. Dopo quasi nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale, gli astronauti della Nasa Butch Wilmore e Suni Williams si preparano a rientrare finalmente sulla Terra ma ad attenderli c’è un impatto tutt’altro che facile: quello con la realtà della gravitàterrestre. Un periodo molto più lungo degli otto giorni inizialmente previsti, che offre agli scienziati un’opportunità unica per studiare gli effetti a lungo termine dell’assenza di gravità sul corpo umano. Ma cosa succede, esattamente, a un astronauta che trascorre mesi nello Spazio? E quali sono le sfide del rientro a Terra? Sono gli stessi scienziati della Nasa a raccontarlo in diverse interviste, al Guardiane alla Cnn.
Anche il cuore si rimpicciolisce
L’assenza di gravità, o meglio, la microgravità, ha effetti profondi sull’organismo. I più evidenti riguardano le ossa e i muscoli, che, non dovendo più contrastare la forza di gravità, si indeboliscono. “Gli astronauti possono perdere fino all’1,5% della loro massa ossea in un solo mese nello spazio”, spiegano gli esperti, “un valore pari a quello che una donna in post-menopausa perde in un anno”. E i muscoli? “Possono subire una riduzione di un terzo della dimensione delle fibre muscolari in meno di due settimane”. Incluso il cuore che, non dovendo pompare il sangue contro la gravità, deve lavorare molto meno e quindi si rimpicciolisce. Ma non è tutto. La microgravità altera anche la circolazione sanguigna, riducendone il volume e rallentandone il flusso in alcune aree, con il rischio di formazione di coaguli. I fluidi corporei, non più attratti verso il basso, si ridistribuiscono, accumulandosi nella testa e causando quella che alla Nasa chiamano “sindrome della faccia gonfia” o “gambe da pollo”. “I fluidi si accumulano nella testa, quindi [gli astronauti] si sentono come se avessero un raffreddore costante”, spiega l’astrofisico Alan Duffy. E l’olfatto ne risente: “Probabilmente è una buona cosa, visto che la navicella spaziale puzza, dopo due decenni di visitatori e nessuna finestra aperta“.
I problemi alla vista
Un altro effetto collaterale, inaspettato, riguarda la vista: l’accumulo di fluidi può modificare la forma del bulbo oculare, appiattendolo e ispessendo il nervo retinico, causando una visione offuscata: “È un po’ come usare un proiettore e spostarlo di qualche centimetro più vicino al muro”, spiega il dottor Michael Harrison, specialista in medicina aerospaziale presso la Mayo Clinic in Florida. “L’immagine diventerà un po’ più sfocata”. Un problema, questo, che sembra essere più comune nei voli spaziali più lunghi, e che in alcuni casi può richiedere l’uso di occhiali per il resto della vita.
Il “cervello allagato”
Anche il cervello subisce delle modifiche: i fluidi tendono a spostarsi dalla parte superiore a quella inferiore, causando un “allagamento” di alcune aree. Studi sugli astronauti dopo il loro ritorno sulla Terra hanno rilevato che questo spostamento può ingrandire alcune parti del cervello chiamate ventricoli, anche oltre ciò che normalmente si osserva con l’invecchiamento. Tuttavia, le risonanze magnetiche dell’equipaggio della missione Polaris Dawn non hanno evidenziato, al momento, alcuna anomalia preoccupante nel loro cervello.
Radiazioni: il nemico invisibile
Ma forse l’impatto più pericoloso dei soggiorni prolungati nello spazio è l’esposizione alle radiazioni, che può aumentare il rischio di cancro. Sulla Terra, siamo protetti dall’atmosfera e dal campo magnetico, ma nello spazio questa protezione viene meno. “Gli astronauti sono esposti a tre fonti di radiazioni“, spiega la Nasa: “Particelle intrappolate nel campo magnetico terrestre, particelle energetiche solari provenienti dal sole e, infine, raggi cosmici galattici”. Questi ultimi, in particolare, sono “la fonte di particelle energetiche in costante variazione e altamente energetiche che bombardano costantemente la Terra” e che “probabilmente si sono formate da eventi esplosivi come le supernove”. Proteggere gli astronauti dalle radiazioni spaziali è una delle sfide più grandi per le future missioni a lungo termine sulla Luna o su Marte. E proprio per studiare questo fenomeno, l’equipaggio del volo commerciale Polaris Dawn, lo scorso anno, ha indossato speciali lenti a contatto per misurare e raccogliere dati sulla pressione oculare.
Il ritorno sulla Terra
Insomma, il ritorno a Terra, per gli astronauti, è un processo lungo e complesso, che richiede un’intensa riabilitazione fisica: “Il riadattamento è simile alla riabilitazione intensiva che deve affrontare chi è uscito da un coma”, spiega Duffy. “È anche molto faticoso”, aggiunge l’astrofisico Brad Tucker, “e questo può contribuire all’impatto psicologico del ritorno”. Per questo, il team di medici deve trovare un equilibrio tra il rafforzamento degli astronauti e il non affaticarli troppo. “Il corpo è ‘brillante’ nel modo in cui si adatta alla microgravità”, afferma il dottor Joe Dervay, uno dei medici di volo della Nasa. “Ma vogliamo assicurarci che quando li riportiamo a casa, siano nelle migliori condizioni possibili per tornare […] al normale flusso della loro vita”. Un protocollo di rientro che prevede, tra l’altro, l’assunzione di compresse di salee acqua per aumentare i fluidi corporei, e l’uso di indumenti compressivi, come calze elastiche, per favorire la circolazione. Un’altra sfida per gli astronauti, abituati ormai ad avere vestiti che fluttuano lontano dalla pelle, diventata quindi “quasi sensibile come quella di un neonato”.
L'”effetto panoramica”
Ma il ritorno a Terra non è solo una questione fisica. Spesso, gli astronauti sperimentano il cosiddetto “effetto panoramica” (“overview effect”): vedendo la curvatura della Terra, e vedendola dall’alto, come una sorta di astronave, alcuni astronauti riferiscono di aver provato un’incredibile connessione con l’umanità, un immediato senso della sua fragilità. “Alcune persone lo chiamano un sentimento di ispirazione. Altre persone lo chiamano sentimento di inadeguatezza, per quanto grande è il mondo”, spiega Tucker. E poi, la “normalità“: “Devono preparare la colazione e devono guidare per andare al lavoro”, dice Tucker. “È una transizione enorme da un ambiente molto stimolante”.
La Nasa monitora la salute di tutti gli astronauti dal momento in cui iniziano l’addestramento fino a molto tempo dopo il pensionamento, ma si sa ancora poco sugli effetti a lungo termine delle radiazioni e della microgravità. E proprio l’esperienza di Wilmore e Williams, con il loro soggiorno prolungato nello Spazio, fornirà dati preziosi per la ricerca, aprendo la strada a future missioni di lunga durata sulla Luna e su Marte.
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