Il protezionismo fossile di Trump stravolge gli equilibri mondiali: il nuovo fronte del conflitto Usa-Cina è la lotta al cambiamento climatico
Oggi alle 02:07 AM
Trump ordina di avviare la procedura per l'uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi e, tra le reazioni internazionali, non manca quella piccata della Cina, dopo l’annuncio del ritiro degli Usa anche dall'Organizzazione mondiale della sanità e, soprattutto, le accuse sulla disparità nei finanziamenti rispetto a Pechino. Che, quindi, interviene sul fronte della lotta al cambiamentoclimatico: "La Cina è fortemente impegnata nella risposta alla crisi climatica e promuoverà in modo congiunto la transizione energetica su scala globale" commenta il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun. Dalla Cina, quindi, si marca la netta differenza di approccio con cui le due superpotenze si presenteranno il prossimo anno alla Cop30 del Brasile, quella a cui tutti i Paesi dovranno arrivare con nuovi Ndc (Contributi determinati a livello nazionale). Ossia impegni più ambiziosi per raggiungere quello complessivo dell'Accordo di Parigi: limitare l'aumento della temperaturaglobale "ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e di proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 °C". Trump si è chiamato fuori a poche settimane dalla fine dell'anno, il 2024, in cui per la prima volta è stata superata quella soglia e mentre sono ancora a tutti gli effetti i primi emettitori storici di gas serra del pianeta. Ma l'avvio della procedura per l'uscita dall'Accordo di Parigi non è l'unica novità decretata dagli ordini esecutivi di Trump. Dalle trivellazioni in Alaska, al blocco dei progetti eolici offshore, fino alle barriere normative all'accesso ai veicoli a motore, le misure sono destinate a scatenare un terremoto negli equilibri internazionali e nel peso delle potenze nella lotta al cambiamento climatico. In pochi anni, tutto è cambiato, dall'Europa al ruolo della Cina, come si è visto durante la Cop29 in Azerbaigian.
Tra un anno gli Usa fuori dall'Accordo di Parigi – "L'Ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite dovrà immediatamente presentare una notifica formale scritta del ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi ai sensi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici" recita l'ordine esecutivo di cui tutto il mondo parla in queste ore. La notifica dovrà essere presentata al Segretario generale delle Nazioni Unite. Da quel momento dovrà trascorre un anno prima che gli Usa possano dirsi davvero fuori. Molto meno rispetto a quanto atteso da Trump la prima volta. Quando il tycoon aveva annunciato nel 2017 l'intenzione di uscire dall'Accordo di Parigi, infatti, non aveva potuto avviare subito la procedura, perché il Paris Agreement prevedeva che le parti potessero ritirarsi solo dopo tre anni dalla sua entrata in vigore, nel 2016. Trump, quindi, aveva potuto avviare la procedura nel 2019 e l'uscita ufficiale dall'Accordo di Parigi avvenne il 4 novembre 2020. Un giorno prima delle elezioni che avrebbero decretato la vittoria di Biden. Ergo: in quel caso gli Stati Uniti restarono fuori dall'accordo solo pochi mesi. Nel frattempo, l'Unione europea aveva assunto una leadership sul clima, che oggi è parecchio affievolita. E tra i primi atti di Biden ci fu proprio quello di avviare la procedura per rientrare nell'accordo, cosa avvenuta ufficialmente il 19 febbraio 2021. Biden aveva potuto agire subito e così, questa volta, ha voluto fare anche Trump. Per ora, però, non c'è l'uscita dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenticlimatici. E c'è da capire come si comporteranno i singoli Stati. "Il segretario generale rimane fiducioso che le città, gli stati e le imprese all'interno degli Stati Uniti, insieme ad altri Paesi, continueranno a dimostrare visione e leadership lavorando per una crescita economica a basse emissioni di carbonio" ha dichiarato il portavoce delle Nazioni Unite, StephaneDujarric.
L'emergenza energetica nazionale apre la strada alle trivellazioni (anche in Alaska) – Tra gli ordini firmati da Trump durante il suo primo giorno, però, al grido di "saremo di nuovo una nazione ricca, ci aiuterà tutto questo oro liquido che ci scorre sotto i piedi", c'è anche la dichiarazione dell'emergenza energetica nazionale, che punta a aumentare la produzione di petrolio e gas, di cui gli Usa sono già oggi i maggiori produttori al mondo. Si parte dall'Alaska e dall'Arctic National Wildlife Refuge. "È imperativo invertire immediatamente le restrizioni punitive implementate dalla precedente amministrazione che prendono di mira specificamente lo sviluppo delle risorse su terreni sia statali che federali in Alaska" si legge nell'ordine esecutivo. Gli obiettivi? Spiegati chiaramente anche quelli: "accelerare il rilascio dei permessi e il leasing di progetti energetici e di risorse naturali in Alaska" e dare priorità "allo sviluppo del potenziale di gas naturale liquefatto, inclusa la vendita e il trasporto del GNL dell'Alaska ad altre regioni degli Stati Uniti e alle nazioni alleate nell'area del Pacifico". Si gettano così le basi per revocare il divieto di trivellazione imposto da Biden sui 625 milioni di acri di acque federali, praticamente lungo quasi tutta la costa statunitense. Per farlo, però, resta la necessità del consenso del congresso.
Lo stop ai progetti di eolico offshore (che fa crollare Orsted) e gli incentivi sulle rinnovabili –Tra gli ordini di Trump anche lo stop ai progetti per la realizzazione di pale eoliche offshore che già hanno prodotto i primi effetti. Il giorno dopo l'insediamento del presidente Usa, a poco più di un'ora dall'avvio delle contrattazioni alla borsa di Copenaghen, il titolo di Orsted, il numero uno al mondo del settore dell'eolico offshore, è crollato del 17 per cento dopo gli annunci relativi a svalutazioni legate a ritardi nelle attività negli Stati Uniti e, soprattutto, dopo l'ordine di Trump. Difficile prevedere cosa accadrà sul fronte dei sussidi alle rinnovabili. Trump vorrebbe revocare parte degli incentivi introdotti con l'Inflation Reduction Act. Anche in questo caso è necessario il voto del Congresso ma, tutto sommato, potrebbe essere un boomerang. Secondo un rapporto del gruppo ambientalista E2, pubblicato ad agosto 2024, a beneficiare maggiormente dell'Ira sono stati gli Stati del sud-est e i distretti congressualirepubblicani. Più facile che dirotti i circa 20 miliardi di dollari non ancora spesi.
Nessun favoritismo alle auto elettriche. E non è uno sgarro a Musk – Via libera anche sull'automotive. Nell'ordine firmato ad hoc da Trump si scrive che si vuole "promuovere una vera scelta da parte dei consumatori". Quindi, “niente barriere normative all'accesso ai veicoli a motore”, ma “parità di condizioni normative per la scelta dei consumatori in materia di veicoli". Saranno eliminate "ove opportuno, le esenzioni statali sulle emissioni che servono a limitare le vendite di automobili a benzina". Trump dichiara guerra, quindi, ai sussidi che ritiene "ingiusti" e a quelle che definisce "distorsioni di mercato mal concepite e imposte dal governo che favoriscono i veicoli elettrici rispetto ad altre tecnologie, imponendone l'acquisto ai privati". Insomma, come guardare il mondo con occhiali che proiettano un'immagine opposta rispetto a quella di Biden. E il futuro immaginato da Elon Musk, tra l'altro appena nominato al vertice del Dipartimento per l'efficienza governativa? E la sua Tesla? Per la casa automobilistica gli effetti dell'abolizione degli incentivi saranno più che bilanciati dal colpo di grazia alle aziende che le fanno – e le potrebbero fare – concorrenza garantendo alla Tesla il monopolio dell'auto elettrica negli Stati Uniti.
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