Le parole del Papa su Gaza sono state tradotte con rimaneggiamenti. Ma non sarà questo a fermarlo

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Chi smoscia o manipola le traduzioni del discorso del papa? E' successa una cosa strana. Nei giorni scorsi, il 9 gennaio, Francesco si è rivolto al corpo diplomatico illustrando la situazione internazionale – scivola verso una guerra globale – e denunciando senza mezzi termini la situazione determinatasi a Gaza in seguito all'intervento israeliano. "Rinnovo l'appello – ha dichiarato – a un cessate-il-fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, dove c'è una situazione umanitaria gravissima e ignobile…". Parole durissime, che evidenziano le condizioni dei gazawi spostati da un luogo all'altro come mandrie di animali, privi di assistenza sanitaria, bombardati senza sosta e costretti alla fame. Così vuole il governo Netanyahu.

Prima di Natale, in due interventi successivi Francesco aveva denunciato che vengono "bombardati dei bambini. Questa è crudeltà, non è guerra… Con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà, ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e ospedali". Situazione umanitaria "ignobile" è un'espressione forte, che rispecchia l'opinione di gran parte dell'opinione pubblica mondiale ma che non si ritrova sulla bocca dei capi di stato e di governo occidentali, esitanti a chiamare il governo israeliano alle sue responsabilità. Ed ecco che in Vaticano, confrontando i testi delle traduzioni ufficiali diffuse via internet, si scopre che alcuni traduttori hanno rimaneggiato la parola del papa. Non si sa se per sciatteria o volutamente per attutirne la portata politica.

"Ignobile" significa ignobile, è inutile girarci attorno. Ma per i traduttori vaticani del settore tedesco e francese la parola si addolcisce in un generico "deplorevole". Rimane invariata in spagnolo, portoghese e polacco. In inglese viene tradotta – con eguale forza d'impatto – con "vergognoso". In Segreteria di Stato dovranno chiedersi come sia stato possibile deviare le parola del papa.

Non sarà questo a fermare il pontefice argentino, vicino da sempre all'ebraismo sin dai tempi di Buenos Aires e che volle portare con sé a Gerusalemme nel 2014 il suo amico personale rabbino Abraham Skorka, ma che non intende tacere sullo sterminio in corso nella striscia di Gaza.

Proprio in questi giorni, sulla rinomata rivista britannica Lancet è apparso uno studio dei ricercatori della "London School of Hygiene & Tropical Medicine" secondo cui il bilancio delle vittime sarebbe attualmente sottostimato del 40 per cento, risultando in realtà di "oltre settantamila morti, di cui il 59 per cento sarebbero donne, bambini e anziani".

L'anno 2024 rimarrà un anno cruciale nella storia dei governi israeliani e nel loro rapporto con il mondo. E' l'anno in cui al premier Benjamin Netanyahu è stato notificato un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l'umanità per le azioni commesse dall'esercito nella striscia di Gaza. C'è tutto un gruppo di influencer che si è mosso a suo favore, riprendendo i temi della propaganda governativa israeliana.

Ma c'è una testimonianza che fa la differenza e stabilisce uno spartiacque. Il lungo intervento di LilianaSegre, pubblicato a pagina intera sul Corriere della Sera, in cui la senatrice evidenzia giustamente che applicare il termine "genocidio" sarebbe intrinsecamente sbagliato, mentre a Gaza "sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l'umanità commessi sia da Hamas e dalla Jihad sia dall'esercito israeliano". Sarebbe arduo accusare l'ebrea Liliana Segre, deportata ad Auschwitz, sopravvissuta alla Shoah, presidente della Commissione per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza, di pulsioni antisemite o di preconcetti nei confronti dello stato di Israele: come risuona il mantra di chi non vuole vedere i fatti. Al contrario, i "grandi vecchi" come Segre hanno un senso della realtà storica impregnato di profonda umanità e non marcato da scelte ideologiche. Da più di un anno Segre esprime il dolore per tutte le vittime della vicenda iniziata il 7 ottobre 2023 con il barbaro attacco di Hamas, consapevole che non ci sono crimini buoni e crimini cattivi e che la riconciliazione può nascere solo dal capire i reciproci drammi e dolori.

E' quello che sente ed esprime papa Francesco. L'abbraccio con cui nell'Arena di Verona (nel maggio scorso) ha stretto l'israeliano Maoz Inon, che ha perso i genitori assassinati da Hamas, e il palestinese Aziz Sarah che ha perso il fratello ucciso dai soldati israeliani, evidenzia la prospettiva di riappacificazione cui tende il pontefice. Va in questa direzione la mossa della comunità ebraica di Venezia, che ha impedito che all'Ateneo Veneto venisse presentato un rapporto di Amnesty International? Certamente no.

Una parte consistente di opinione pubblica caratterizzata da rapporti di amicizia e di affetti con il mondo ebraico, attratta fortemente dalla cultura ebraica, segnata a volte da uno scambio profondo con la spiritualità dell'ebraismo, si aspetta che la politica di cinico e violento suprematismo del governo Netanyahu non venga più coperta dal silenzio dell'associazionismo ufficiale ebraico.

La posta in gioco va molto oltre un auspicato cessate-il-fuoco a Gaza. La questione è se l'Unione delle comunità ebraiche italiane è pronta a rispondere con chiarezza a due domande. Condanna o no i pogrom permanenti dei coloni in Cisgiordania che hanno già causato centinaia di morti palestinesi? E' pronta a sostenere che quest'anno – con libere elezioni palestinesi – si avvii il percorso per la nascita di uno stato di Palestina in pacifica convivenza e cooperazione con Israele? Nella storia i silenzi non hanno mai portato vantaggi.

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