
Per Galimberti sessant'anni sono sufficienti per lasciare questo mondo? Gli consiglio di rileggere Petrarca

03/27/2025 12:09 PM
di Francesca Carone
Nell'era dell'amore liquido che sfugge alle menti di idealisti e visionari, eterni innamorati del mondo e della vita, c'è poco da aspettarsi. I detrattori della vita viaggiano lungo il perimetro misurabile dell'esistenza, contrariamente a quelli che ne celebrano l'eterna grandezza e che all'amore liquido preferiscono quello con i piedi ben piantati per terra. Quello solido, con radici forti che niente può scalfire. Distruggere. Annientare.
L'amore liquido probabilmente ha contagiato un grande intellettuale, filosofo e scrittore: Umberto Galimberti che in un'intervista andata in onda sul web ha dichiarato che già a sessant'anni l'uomo potrebbe tranquillamente lasciare questo mondo, forse perché la vecchiaia, per il professor Galimberti, non è proprio una bella compagnia! Che sarebbe meglio togliersi di torno piuttosto che invecchiare, quasi contrapponendosi a quell'immagine trascendente e delicatamente eterea del "vecchierel canuto e bianco" del grande Petrarca; quel vecchierello che pieno di acciacchi sfida il destino e si mette in cammino verso Roma per realizzare un sogno: vedere il velo della Veronica su cui è impressa l'immagine di Cristo.
Questo "arzillo" nonnino celebrato dal Petrarca non pensa minimamente alla sua vecchiaia, ai suoi acciacchi, facendosi guidare da quella giovinezza interiore che annienta gli anni e la sofferenza che attanagliano il suo corpo. Ma non la mente e l'anima. Sarebbe bello che il professor Galimberti facesse affidamento alla giovinezza e alla grandezza interiore del "nonnino petrarchesco" che non indugia a seguire il sogno più grande della vita. Perché la vita non ha confini misurabili. Non ha perimetri né dimensioni. Essa è respiro, è forza, è essenza che non si svela nel suo intimo mistero.
La vita ha una sua intelligenza e una sua permalosità: se la trascuri diventa tiepida, insipida. Spenta. E' per questo che la vita andrebbe "viziata", coccolata, difesa. Amata. Vissuta. Sempre. Anche quando si ha l'impressione di essere fuori da "essa". Di non sentirla più dentro. E questo potrebbe succedere a tutti: ad un ragazzo, ad un giovane, ad un anziano. Il trucco probabilmente sta nel non perderla mai di vista. Anche quando si avrebbero tutte le ragioni per farlo. La vita ci mette alla prova, ci studia, ci forgia, ci sfida. Fino all'ultima lotta. All'ultimo respiro.
La vita ci spinge a diventare quello che siamo. Quello che vogliamo essere. Ogni giorno ci mette di fronte uno specchio in cui guardarsi e possibilmente accettarsi, nonostante le forme di contraddizione esistenziale che ci spingono a staccarci da "essa" diventando persone legate alla fredda immanenza temporale piuttosto che coraggiosi profanatori di un'esistenza labile e spenta. Il grande bluff è che l'uomo ormai "non si appartiene più", piuttosto si "lascia appartenere" dai mille problemi, dall'amore liquido, dalla solitudine e da un'esistenza votata all'avere piuttosto che all'essere, per dirla con Fromm.
Allora caro professor Galimberti, riscopra la sua "appartenenza" alla vita. La celebri. Dia al tempo un valore aggiunto che sappia tradurre i desideri del suo cuore. Cerchi quel filo che lo leghi al coraggio e alla modernità del vecchierello petrarchesco che sfida anni e acciacchi per coronare il suo sogno. Perché non c'è niente di più miracoloso al mondo di un uomo che vive la vita celebrandola e onorandola in tutte le sue stagioni. "La vecchiaia è l'ultimo capitolo di un libro, di solito il migliore" (Vittorino Andreoli).
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