Tirate il loden fuori dagli armadi: il cappotto radical chic torna in passerella. Da Lady Diana a Rocco Schiavone, la storia di un evergreen

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È vero che la moda è fatta di cicli e di ritorni, ma ci sono capi che non se ne vanno mai. E attraversano non solo i decenni, ma i secoli, adattandosi ai gusti e alle esigenze di chi li indossa senza mai perdere la propria natura. Uno di questi è il loden, il cappotto tirolese. Una storia scritta su un filo di lana che unisce i contadini tirolesi e gli aristocratici di Vienna, la regina Elisabetta II e il vicequestore Rocco Schiavone, lady Diana e la sfilata di Gucci.

Il loden è molto più che un cappotto – Iniziamo con una precisazione lessicale: il termine 'loden' in realtà si riferisce al materiale, non al capo. Il termine deriva da 'lodo' che significa 'balla di lana'. La lana grezza di pecora veniva cardata, filata, tessuta e lavorata fino all'infeltrimento. Attraverso il processo della follatura la lana diventa termoisolante e idrorepellente: perfetta per affrontare il freddo e la pioggia dell'inverno. Anche se moltissimi capi possono essere realizzati in loden, oggi il termine indica universalmente un cappotto lungo con una piega invertita sul retro, grandi tasche laterali e una fila di bottoni a contrasto. Lo immaginiamo verde – tanto che esiste il Pantone Loden Green, 18-0422 TCX – ma anticamente era nei toni del grigio, cioè le nuance naturali della lana non tinta.

Il cappotto dei contadini "rubato" dai nobili –Sì, perché il loden ha una storia antichissima, che affonda le radici addirittura nel Medioevo, tanto da meritare un vero Museo del Loden a Vandoies (Bolzano). Nelle comunità rurali c'erano leggi che obbligavano i contadini a portare i loden perché, proteggendoli dall'umidità e dal gelo, riducevano le possibilità di ammalarsi. E quindi di rallentare il lavoro. Ma il loden è poi diventato un cappotto aristocratico, indossato dall'arciduca Giovanni d'Asburgo e da Francesco Giuseppe I d'Austria. Caldo, comodo e versatile, era anche ideale per andare a caccia: ed è qui che è nato il famoso verde foresta, mimetico. Questa eleganza pratica, understated, raffinata e concreta lo ha fatto apprezzare dai royal di ogni generazione, inclusa quella Elisabetta II che tanto amava i cavalli e le colline battute dal vento. Almeno su questo era d'accordo l'intera famiglia, Lady Diana inclusa, che lo usava per affrontava il gelo londinese.

Da Rudolph Nureyev a Rocco Schiavone –Tra i migliori testimonial del loden ci sono Rudolf Nureyev e Helmut Berger; ma anche Elizabeth Taylor e Audrey Hepburn. Ma non serve voltarsi troppo indietro: il vicequestore Rocco Schiavone, interpretato sul piccolo schermo da Marco Giallini, ha fatto di loden e Clarks la sua divisa di ordinanza. Negli anni Settanta – all'apice del successo – era il cappotto degli intellettuali di sinistra, l'incarnazione del concetto di radical chic. Oggi ha perso la sua connotazione politica, spiega a FqMagazine Thomas Demetz, amministratore delegato delle boutique Oberrauch-Zitt: "Durante le manifestazioni elettorali da noi lo indossano tutti i candidati, sia di destra che di sinistra. È diventato un capo apolitico".

Non è più il cappotto dei nonni –Parte del successo della storia del loden passa la lungimiranza imprenditoriale di Oberrauch senior, che ha contribuito a trasformarlo da eccellenza locale a cult internazionale. "Ad agosto, quando fuori c'erano 35 gradi, metteva in vetrina i cappotti in lana – racconta Demetz – Sembrava una follia, ma aveva capito che i turisti in vacanza a Bolzano che cercavano un prodotto locale". Così questo raffinato souvenir da mettere in valigia, ha iniziato a viaggiare in tutta Italia. L'altra intuizione fortunata si deve a Oberrauch figlio: "Mentre tutte le aziende esternalizzavano la produzione all'estero, noi abbiamo aperto una fabbrica a Vandois, dove in quel periodo non c'era nulla. Tutti la chiamavano la piccola Siberia". La Lodenwelt, come venne chiamata, presentò un concetto di vendita nuovo per l’Alto Adige: museo, manifattura, negozio ristorante e albergo che seguivano l'idea "from the sheep to the shop".

"Avere le sarte vicino al negozio, in vetrina, è stata la chiave: pur avendo tutti i fornitori di loden più importanti, i clienti volevano i capi che vedevano cucire nella nostra manifattura". Dopo anni altalenanti, oggi il loden è stato riscoperto anche come prodotto sostenibile, capace di durare a lungo e realizzato con la lana di razze ovine locali. Non dovete pensare solo al cappotto lungo verde bosco che avrete sicuramente visto addosso a nonni e zii: nei negozi Oberrauch-Zitt di Bolzano, Merano e Vandoies si vendono modelli inaspettati, col taglio bomber o in matelassé (cioé impunturati) dalle tinte effervescenti come l'arancio, il bluette e il verde prato.

Il loden sulle passerelle dell'inverno – Altro che "eleganza d'altri tempi", insomma. Il ritorno del loden dimostra due assiomi fondamentali della moda. Primo: i classici funzionano perché sanno adattarsi ai tempi, non perché rimangono sempre uguali a se stessi. Secondo: investire su un capo di qualità è un guadagno sul lungo periodo. Le passerelle confermano. Miuccia Prada, sempre sia lodata, aveva profetizzato la tendenza presentando un cappotto loden nella sfilata Miu Miu A/I 2023. Quest'anno i loden si sono moltiplicati nelle collezioni invernali di Gucci, Ferragamo, Bally e – con qualche licenza poetica – è stato adottato anche da Isabel Marant ed Etro. Se volete fare un investimento sul futuro, i saldi di gennaio sono l'occasione perfetta per trovare la vostra versione preferita a un prezzo ridotto. Oppure potete cercarlo nei negozi vintage, sicuri di trovarlo ancora in ottimo stato. Perché il loden ha un solo difetto, conclude Thomas Demetz, almeno dal punto di vista commerciale: "Dura una vita".

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