
Vivi, ma impreparati e privi di beni di prima necessità: secondo Fred Vargas, il futuro è un nuovo modo di vivere

Ieri alle 09:48 AM
"A quanto caldo andiamo incontro? Mortale, insostenibile, difficile ma sostenibile?". E ancora, a seguire: "Come riusciremo a spostarci? Come faremo a comunicare? A farci luce? A riscaldarci? E naturalmente, questione vitale: come ci nutriremo?". A porsi queste queste domande fondamentali non è però né un climatologo, né uno scienziato ma la scrittrice francese Fred Vargas, in un libro sul cambiamento climatico che segue il primo sullo stesso tema (L'umanità in pericolo, Einaudi) e che è stato appena tradotto in Italia: Un nuovo modo di vivere Affrontare l'aumento delle temperature e il declino delle energie fossili (sempre Einaudi).
Il volume si basa interamente su basi scientifiche ed è incentrato "sul picco e il declino dei tre idrocarburi – petrolio, gas, carbone – principali responsabili del riscaldamento sulla terra" e sulle conseguenze di questo declino sul piano pratico ed economico, visto che "ogni punto percentuale in meno nel petrolio colpisce proporzionalmente al ribasso il Pil e l'intera economia". Perché, secondo Vargas, il problema è che, se da un lato dobbiamo per forza decarbonizzare, dall'altro, ad esempio "l'elettricità non spingerà mai una potente nave mercantile né farà mai volare un aereo".
I media si concentrano sugli scenari apocalittici
Lo stupore di Vargas nasce nel constatare che la risposta alle sue domande iniziali non si trova nei rapporti delle agenzie e società (pubbliche e private), incaricate di proporre prospettive sulla vita futura e di modellare gli scenari da qui al 2050. Questi specialisti, a suo dire, giungono a soluzioni di fatto inapplicabili nella realtà e irrealistiche, e generalmente tutte simili. Quasi sempre infatti si opta, nella comunicazione dei vari scenari possibili, per il peggiore, l'ipotesi estrema, "giustamente definita apocalisse, senza mai spendere una parola sugli altri casi possibili". Questo rispecchia la tendenza dei media a concentrarsi sulle catastrofi e sui temi che spaventano, forse perché, nota l'autrice, fanno vendere di più, aumentando il senso di impotenza.
I quattro scenari e le loro conseguenze
Vargas cita apertamente e per tutto il volume il quinto Rapporto dell'Ipcc (il sesto è uscito dopo la pubblicazione francese, ndr). Si tratta di uno scenario basato sulla totale assenza di sforzi per ridurre i gas e su una ricerca sfrenata del "business as usual". Ma questo scenario, nota Vargas, è del tutto irrealistico. L'Ipcc descrive anche uno scenario più moderato, che si basa su una riduzione progressiva volontaria dei gas serra a partire dal 2020. L'autrice sottolinea purtroppo che poiché l'umanità, "con sconsideratezza e avidità", ha emesso tra il 2015 e il 2019 una tale quantità di gas serra, aumentando la loro concentrazione in atmosfera, di fatto ha praticamente annullato l'Accordo di Parigi e sta mancando la possibilità di centrare questo scenario.
Un terzo scenario colloca invece l'inizio della decrescita dei gas serra nel 2050, il che porterebbe nel 2100 a temperature molto critiche sulle terre emerse. Questo scenario è suscettibile di raggiungere una temperatura globale massima di +2,6° C (rispetto al periodo 1986-2005, ma di +3,2° C rispetto al 1900) e alla fine del secolo avrebbe un impatto su un quarto del globo, mettendo in pericolo metà della popolazione mondiale. Il quarto scenario è ancora più drammatico, ipotizza infatti un aumento fino a un massimo di +3,1° C nel 2081-2100 (rispetto al periodo 1986-2005, ma fino a +3,7° C rispetto al 1900) e prevede l'inizio della decrescita dei gas serra nel 2080, portando a temperature molto pericolose con possibilità di adattamento dell'umanità più che incerte.
In mezzo al guado: né scenario peggiore né migliore
Dove si colloca dunque l'umanità? Il primo scenario, il peggiore, un aumento di 5,7° C (rispetto al periodo 1986-2005), è improbabile che si possa verificare – spiega Vargas – perché "in nessun caso nel corso di questo secolo disporremo di quantità di idrocarburi tali da realizzarlo". Mancano cioè i combustibili fossili futuri sufficienti a garantire una continuazione senza freni della crescita per come la conosciamo.
Lo scenario più ottimistico è escluso per ragioni opposte, ovvero l'eccesso di emissioni tra il 2015 e il 2019 e il ritardo nell’applicare la loro riduzione. Restano dunque gli scenari intermedi. In quale dei due siamo, si chiede Vargas? Secondo l'Ipcc, il terzo scenario ci porterebbe, con una riduzione delle emissioni di gas serra a partire dal 2050, a una temperatura media globale di +2,3° C/+2,4° C entro il 2100 (rispetto al 1900), e quindi a circa +3,2° C/+3,6° C sulle terre emerse. Tuttavia questo scenario appare eccessivamente estremo se si considerano il declino e la fine delle tre principali fonti di energia fossile, che – secondo Vargas – sarà più rapido e anticipato, così come quello di gas e carbone. "L'Agenzia Internazionale dell'Energia pone il declino del petrolio a partire dal 2025, il che significa che ne resterà progressivamente sempre meno da estrarre, con una riduzione progressiva dei gas serra; la stabilizzazione delle temperature inizierebbe nel 2055. Questo significherebbe, a questa data, un aumento della temperatura media globale di circa 1,9° C rispetto al 1900, e +2,67° C, risultato che la stessa Vargas definisce sovrastimato: l'esito sarà probabilmente inferiore a +1,7° C nel 2055, o prima, e inferiore a +2,38° C sulle terre emerse.
Si tratta dunque di un aumento della temperatura media non conforme all'Accordo di Parigi o "ben al di sotto di 2 gradi", ma neanche così lontano.
La crisi dei beni in un'epoca senza combustibili fossili
Una notizia positiva? Sicuramente sì, ma non priva di risvolti negativi. Sarà infatti, secondo Vargas, uno sconvolgimento che ci proietterà in un altro mondo e uno stile di vita rispetto al quale siamo impreparati, ma "essenzialmente vivi, anche se mancanti di beni di prima necessità".
Infatti, se da un lato della riduzione futura delle emissioni c'è da rallegrarsi dall'altro il crollo del petrolio comporterà il crollo dei trasporti, delle industrie, delle aziende, delle attività commerciali, disoccupazione, povertà, difficoltà di distribuzione dei generi alimentari e dei prodotti, mancanza di beni essenziali. Il che, forse, ci spingerà (forse) a un minor individualismo e a una maggiore solidarietà.
Ma quanto è realistica l'analisi di Vargas? "Condivido gli inviti volti a un aumento della resilienza per un futuro con diminuzione dei combustibili fossili", spiega il climatologo Luca Mercalli. "Tuttavia non prenderei gli scenari dell'Ipcc con la precisione del decimo grado, visto che sono ordini di grandezza, ma anche 2-3 gradi in più rischiano di consegnarci a un pianeta ostile; e soprattutto sottolineo il fatto che nessuno conosce la possibilità di attivazione dei punti di non ritorno, quindi potrebbe verificarsi uno 'scenario peggiore' inedito anche con aumenti termici più limitati". "Insomma", continua Mercalli, "È vero che probabilmente non c’è abbastanza materiale fossile per far aumentare la CO2 come dice Ipcc nel worst case, ma nessuno conosce l’effetto di combinazione multipla di varie crisi (policrisi), se non che porterebbero a conseguenze mai viste. Insomma, tutto suggerisce la prudenza nell’interagire con i delicati meccanismi planetari, indipendentemente dal sindacare su un decimo di grado in più o in meno: inoltre il libro è stato scritto prima della retromarcia sul clima di Trump". In sintesi, conclude il climatologo, "avremo tutti e due i problemi: riscaldamento globale ed esaurimento dei combustibili fossili. Uno non deve coprire l’altro, ma non possiamo non ricordare che risolvendone uno (con le energie rinnovabili), si risolve anche l’altro".
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