Il debutto di mio figlio a teatro mi ha commosso: non esiste emozione più bella

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Marco è sempre stato attratto dal mondo del teatro e io e mia moglie lo abbiamo sempre assecondato in questo anche perché, oggettivamente, è bravo. Ha frequentato scuole di recitazione sin da quando era piccolo, ma arrivato al liceo, oberato dal carico di lavoro e anche nel pieno di una non trascurabile crisi adolescenziale, ha voluto smettere.

Era un periodo complicato, per lui e per noi, quindi, nonostante ci dispiacesse veramente che abbandonasse il corso di recitazione, io e mia moglie abbiamo accettato la sua decisione e ce ne siamo fatti una ragione. Come molti ragazzi della sua generazione, Marco ha vissuto con dolore il passaggio della pandemia e non so dirvi, in tutta onestà, se le ferite emotive che quella esperienza gli ha lasciato nell'anima siano veramente guarite. Ad ogni modo, dalla scorsa estate ci è parso più sereno e maturo, prima prova di questa serenità la domanda che, a bruciapelo, ci ha fatto a settembre: “Posso andare all'open day della scuola di musical che frequenta Lorenzo, il ragazzo di Laura?”.

Ovviamente, cogliendo di nuovo il suo entusiasmo per lo spettacolo teatrale, abbiamo acconsentito, ma mai e poi mai avremmo pensato che, dopo quella giornata di presentazione, decidesse addirittura di fare l'audizione per il corso avanzato. Ha sempre recitato, è vero, ma non ha mai preso lezioni di canto o di ballo e il musical è anche e soprattutto canto e ballo. Un corso avanzato poi…

In noi è scattata la paura che potesse scontrarsi con una cocente delusione e che questa avrebbe spento il sacro fuoco del teatro che timidamente si stava rifacendo largo in lui, ma per fortuna abbiamo taciuto e la sua frase “Ci voglio provare, se poi non passerò il provino mi iscriverò al corso base e pazienza!” ha messo una pietra tombale sulla questione.

Marco fa il provino, passano alcuni giorni e arriva la notizia: AMMESSO.

Io e mia moglie ci guardiamo stupiti e, anche, orgogliosi e lui comincia a pianificare compiti e spostamenti in maniera tale da non aver problemi a frequentare quel corso che tanto ha voluto, ma che viene svolto dal lato opposto della città. Uno, due, tre mesi… Marco va e torna, ogni tanto scende in cantina o si sposta nella casa dei nonni per cantare e far le prove, perché, dice, lì l'acustica è migliore. Noi, semplicemente, veniamo riassorbiti dalla vita di tutti i giorni.

Fino a Natale, quando il cellulare squilla e gli propongono di partecipare ad uno spettacolo. Non un saggio o una dimostrazione, ma uno spettacolo vero. Dovrà essere uno degli elementi del corpo di ballo di Din Don Down, il testo che Paolo Ruffini porterà al Teatro Arcimboldi di Milano a gennaio. Francamente non ci rendiamo conto dell'entità della cosa e con assoluta tranquillità proviamo a prendere i biglietti appena 5 giorni prima della rappresentazione. Illusi. Il teatro, uno dei più grandi di Milano, è esaurito in ogni ordine di posti da settimane. Mettiamo da parte l'ipotesi di vedere nostro figlio su quel palco e ci rassegniamo a prendere accordi per andarlo a recuperare a fine serata. Poi, un'ora e mezza prima che si alzi il sipario, arriva un messaggio: se volete si sono liberati due posti.

Se vogliamo? Certo che vogliamo!

90 minuti dopo siamo in platea e cominciamo ad assistere alle battute di Ruffini quando, all'improvviso, Marco fa il suo ingresso in scena. Bastano 20 millesimi di secondo per capire quanto è felice ed orgoglioso di essere arrivato a fare quello che sta facendo. Ci è arrivato con le sue sole forze, credendo in se stesso, quando forse persino i suoi genitori non credevano ci sarebbe riuscito. E invece adesso è lì, che balla con un sorriso da un orecchio all'altro. Non faccio foto, voglio godermi quel momento senza il filtro di uno schermo. E mi commuovo, parecchio. Perché non esiste emozione più bella di quella che arriva al cuore quando vedi i tuoi figli felici, realizzati e sicuri di se stessi.

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