Lo strano caso del generale libico arrestato e frettolosamente liberato. Ho una domanda

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La vicenda del generale libico frettolosamente riaccompagnato a Tripoli dal governo italiano pone una domanda in più oltre a quelle che giustamente in tanti si stanno facendo. Una domanda che riguarda la guerra per il potere interna alla destra. Ma andiamo con ordine.

Un personaggio del genere, inseguito dalla giustizia internazionale per terribili crimini, come può pensare di arrivare a Torino con un nutrito seguito per godersi in santa pace Mole, calcio e bicerin? E' verosimile che, considerati gli eccellenti rapporti tra Italia e Libia per la gestione disumana delle persone migranti, abbia ritenuto di poterselo permettere e probabilmente proprio per questo non lo ha fatto di nascosto. Insomma: è probabile che l'arrivo a Torino di questo diligente delinquente fosse noto a tutti quelli che dovevano saperlo.

Ora allarghiamo l'inquadratura. La regressione feudale della gestione del potere è evidente da un pezzo. I messaggi che vengono mandati dal governo degli "eredi-al-quadrato" sulla derubricazione dello Stato di Diritto ad eventualità subordinata alla volontà di chi ha più consenso (altro "sogno" del mai compianto abbastanza fondatore di Forza Italia) sono ripetuti e sfacciati.

Le parole di Tajani su Netanyahu, particolarmente pertinenti in questa vicenda perché riferite precisamente ad un altro provvedimento emesso dalla Corte Penale Internazionale: "Noi non lo arrestiamo!", sono l'esempio più rotondo. Ma l'elenco nel capitolo "impunità&potere" è purtroppo lungo e ospita i condoni fiscali, l'abolizione del reato di abuso d'ufficio, il progetto di abolire il reato di tortura, il bavaglio (non richiesto dall'Europa!) alla pubblicabilità degli atti giudiziari, il diritto penale "speciale" di Polizia contenuto nel ddl Sicurezza, il progetto di "scudo" legale per le Forze di Polizia, la separazione delle carriere con il mal celato intento di sottoporre l'esercizio dell'azione penale al mandato politico della maggioranza, la criminalizzazione del dissenso, la compressione della efficacia investigativa (attacco alle intercettazioni, ma anche alle misure di prevenzione patrimoniali)… su, su, fino alla sistematica intimidazione della stampa libera, che assume diverse forme, le più eclatanti delle quali riguardano gli attacchi, alcuni frontali altri subdoli alla redazione di Report, che risultano tanto più temibili se raffrontati al trattamento di tutt'altro segno, anche sul piano economico, riservato a giornalisti più "collaborativi".

In una cornice culturale, diciamo così, che insiste sulla maledizione di Mani Pulite, sulla beatificazione dello statista Craxi, dopo avere già consegnato agli onori degli altari repubblicani Berlusconi, sulla "rivisitazione" di quanto fatto dalla Procura di Palermo negli anni 90, sullo "sbianchettamento" dei neri coinvolti nella strategia della tensione e nelle bombe "mafiose". Una cornice culturale che conta su formidabili "chiodi" internazionali.

Ecco, ma il punto è che tutto questo è noto, soprattutto agli addetti ai lavori, tra i quali infatti, come nel focolare pascaliano, c'è qualcuno che molla la consolatoria narrazione e se ne va sbattendo la porta. Ma proprio per questo, in fine, si impone una domanda.
Ma come è saltato in mente a quelli della Digos di Torino di arrestare il diligente delinquente? Si è trattato di un eccesso di ingenua solerzia? Oppure no. Oppure qualcuno ai piani alti ha coperto il doveroso (!) arresto del libico, sapendo perfettamente che questo avrebbe creato imbarazzo e tensione nel governo? Viene da pensar male. Viene da pensare che non tutti ai piani alti abbiano apprezzato il più recente giro di poltrone ai vertici della sicurezza nazionale.

Tornano in mente le parole del ministro Crosetto quando si lamentava, pacatamente, dell'Aise o quelle della Belloni mentre si lascia alle spalle il Dis. Domande che resteranno senza risposta, naturalmente, come senza risposta resta il grido di aiuto delle persone migranti intrappolate nelle carceri libiche, pedine disumanizzate di un gioco di potere molto più grande. Ed anche questo è così noto da non fare quasi più notizia.

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