Come Giovani Palestinesi manifestiamo per la memoria collettiva: mai più Shoah, mai più oppressioni

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di Ugo Gaiba – Giovani Palestinesi in Italia

Primo Levi: "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre."

Il 27 gennaio del 1945 l'Armata Rossa apriva i cancelli di Auschwitz, svelando la realtà dello sterminio sistematico di ogni diversità: Ebrei, Rom, Sinti, omosessuali, disabili, comunisti; ciò che il nazismo aveva portato avanti nel decennio precedente: le camere a gas, i ghetti, le deportazioni, lo sfruttamento fino alla morte, gli esperimenti sui bambini.

Da alcuni anni il 27 gennaio è il giorno della memoria. Ma la memoria non può essere un mero esercizio di stile. La memoria storica non serve a nulla se non ha allievi che l’ascoltino e l’interpretino.

Per anni, come palestinesi in diaspora, abbiamo evitato di collegare la Shoah alla questionepalestinese, temendo che una riflessione matura fosse fraintesa, in un contesto politico e culturale incline a sterili contrapposizioni, con il conflitto ridotto a un semplice antagonismo tra palestinesi ed ebrei, criminalizzando ogni critica al sionismo. Tuttavia, gli eventi del 7 ottobre e la distorsione della narrativa mainstream hanno reso urgente un dibattito su Shoah e Palestina, che non può più essere rimandato.

Il divieto di manifestazioni contro il genocidio a Gaza, in concomitanza con il Giorno della Memoria dell'anno scorso, ha reso ancor più necessario il parallelo tra Nakba e Shoah, per due motivi: chiarire il genocidio palestinese e denunciare come il sionismo usi la Shoah per legittimare il proprio progetto coloniale. Oggi, mentre ricordiamo l'Olocausto, è fondamentale guardare anche alla Palestina, dove: con l'occupazione militare della Cisgiordania e di Gaza, con gli insediamenti illegali e la negazione dei diritti del popolo palestinese, sono in corso le ulteriori ed evidenti politiche di pulizia etnica. Ogni giorno i palestinesi subiscono violenze, deportazioni, demolizioni di case e espulsioni forzate. Due milioni di persone sono costrette a sopravvivere in condizioni insostenibili.

Non possiamo restare in silenzio di fronte a questa pulizia etnica, né permettere che il ricordo delle atrocità del passato venga usato per giustificare nuove violenze. La memoria storica deve essere uno strumento di giustizia, non di perpetuazione dell'oppressione. Le atrocità dell'Olocausto non possono essere invocate per legittimare l'oppressione attuale in Palestina.

A cosa serve la memoria se, invece che usarla per puntare gli occhi sul genocidio che avviene in Palestina, viene usata per distoglierne lo sguardo? Se le vite degli uomini, donne e bambini, distrutte nei campi di sterminio nazisti vengono utilizzate per legittimare il massacro dei bambini e delle bambine di Gaza? Se la Polonia (di Auschwitz e del ghetto di Varsavia) può anche solo pensare di proporre l'invito – come testimonial del Giorno della Memoria – a Netanyahu garantendogli l'immunità dalla cattura per crimini contro l'umanità della Cpi, mentre addirittura la Corte internazionale dell'Aja ha dovuto ammettere ciò che tutto il mondo sapeva da mesi, ovvero che il suo governo sta portando avanti un genocidio?

La storia ci insegna che l'indifferenza ha un costo terribile, e la condizione del popolo palestinese è una prova tragica di come non si impari dalle atrocità passate.

Il 25 gennaio scenderemo in piazza per ricordare e affermare che la memoria è una responsabilità collettiva. Ricordiamo l'Olocausto per impedire che simili tragedie si ripetano. La memoria deve essere il nostro scudo contro l'indifferenza e la complicità che permisero l'orrore del passato. In un mondo ancora segnato da conflitti e violenze, non possiamo restare in silenzio. Scendiamo in piazza per onorare le vittime dell'Olocausto e alzare la voce contro l'oppressione che minaccia l’identità e dignità dei palestinesi. La nostra promessa è chiara: mai più, mai più in Palestina, mai più in nessun angolo del mondo.

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