Giornata di sangue in Libano: 22 morti e 124 feriti. Beirut accusa Tel Aviv che attacca Hezbollah
Ieri alle 01:29 PM
Almeno 22 persone sono rimaste uccise sotto il fuoco israeliano in Libano mentre tentavano di rientrare nelle loro case. Lo denuncia il governo di Beirut, mentre Tel Aviv ha puntato il dito contro Hezbollah che “incita i civili alla rivolta” e contro l’esercito libanese, giudicato incapace di tenere a freno le milizie sciite. Dopo due mesi di cessate il fuoco, dunque, il sud del Libano ritorna ad infiammarsi. E la situazione è destinata a rimanere tesa, perché l'Idf per il momento non si ritirerà dall'area.
Proprio il 26 gennaio scadeva il termine in cui l'esercito israeliano avrebbe dovuto lasciare il sud del Libano al controllo dell'esercito di Beirut, al fianco della missione Onu di peacekeeping. Ma tutto questo non è accaduto, perché le parti finora si sono accusate a vicenda di non aver rispettato in pieno i termini dell'intesa sulla tregua, entrata in vigore lo scorso 27 novembre. E così, invece che una giornata di svolta, è stata una giornata di sangue.
La versione di Beirut è che le forze israeliane hanno aperto il fuoco sui “cittadini che stavano cercando di tornare nei loro villaggi che sono ancora sotto occupazione”. Il bilancio sono 22 morti, tra cui sei donne e un soldato, e 124 feriti. L'Idf invece ha riferito che le sue truppe “hanno sparato colpi di avvertimento per rimuovere le minacce” in un'area in cui erano stati “identificati dei sospetti che si avvicinavano”, e che ci sono stati degli arresti.
Al netto delle diverse ricostruzioni, migliaia di residenti si sono effettivamente messi in marcia verso le città e i villaggi d'origine, nonostante gli avvertimenti degli eserciti libanese e israeliano e dell'Unifil che la regione rimanesse pericolosa. Negli ultimi giorni, tra l'altro i media di Hezbollah avevano incoraggiato i civili a tornare nelle loro case e in alcune zone erano stati segnalati convogli che sventolavano la bandiera gialla e verde del Partito di Dio.
Nel breve periodo, la situazione al confine resterà quanto mai incerta. Israele resterà a presidio del confine non meno di un altro mese, perché ritiene che non ci siano ancora le garanzie di sicurezza per i 60.000 connazionali sfollati dalle comunità nel nord del Paese. Secondo Beirut, invece, è proprio il mancato ritiro dell'Idf che ostacola il completo dispiegamento nel sud dell'esercito libanese, al posto di Hezbollah.
Il consolidamento della tregua è il primo grande test per il nuovo presidente libanese, Joseph Aoun, eletto lo scorso 9 gennaio dopo tre anni di paralisi politica nazionale. Il capo dello stato (ed ex capo dell'esercito), parlando della crisi con Israele, ha sottolineato che “la sovranità e l'integrità territoriale del Libano non sono negoziabili” e ha aggiunto che sta seguendo questo dossier “al massimo livello”. Nel frattempo il primo ministro ad interim, Najib Mikati, ha chiesto ai promotori dell'accordo di novembre, a partire da Stati Uniti e Francia, di premere sugli israeliani per un loro ritiro. Un appello accolto da Emmanuel Macron, che ha fatto tale richiesta direttamente a Netanyahu nel corso di una telefonata.
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