Al centro del nuovo teatro c'è la periferia: è da qui che arrivano le cose più interessanti
Oggi alle 12:18 PM
Delle periferie si parla ormai quasi esclusivamente nella cronaca nera, dove appaiono come luoghi di degrado, abbandono, turbolenza, accentuati – si dice – dalla multietnicità. Tuttavia il lavoro artistico, e in particolare quello teatrale, è in grado di gettare su di esse una luce completamente diversa, dato che nel suo caso la molteplicità e le differenze non costituiscono soltanto un problema o un rischio ma anche e soprattutto una risorsa e un’opportunità. La relazione con l’alterità (a cominciare dalla propria) sta infatti al cuore di ogni lavoro artistico degno di questo nome.
Se guardiamo appunto al teatro, le vicende del recente passato dimostrano quanto sia stata fertile la forte dialettica centro-periferia (intesi ovviamente in senso non soltanto urbanistico ma sociale, economico e culturale), che le ha attraversate. Potremmo addirittura ipotizzare che la "fuga dal centro" costituisca uno dei leit-motiv del nuovo teatro novecentesco, nel quale appare sintomaticamente ricorrente una ricerca di lontananza dal centro teatrale, ossia dal teatro in quanto Istituzione e Sistema, sentita dagli artisti come necessaria per sottrarsi ai suoi condizionamenti.
Una cosa è sicura, a mio avviso: in Italia, almeno dalla metà degli anni Sessanta, le cose più interessanti sono emerse quasi sempre alla periferia, ai margini del Sistema teatrale. Dalle "cantine" romane, dove debuttano Carmelo Bene e compagni, al primo esperimento di decentramento nei quartieri operai di Torino, condotto da Giuliano Scabia nel ’69-70, dall’autoesilio a Marigliano, nel napoletano, di Leo de Berardinis e Perla Peragallo al lungo soggiorno dell’Odin Teatret in Salento nel ’74. Senza dimenticare la nascita dei primi circuiti regionali, dall’ATER in Emilia-Romagna al TRT, il Teatro Regionale Toscano.
Ma fu soprattutto l’esplosione, alla metà degli anni Settanta, del fenomeno dei gruppi, molti dei quali si riconobbero nel Terzo Teatro teorizzato da Eugenio Barba, a mutare in profondità la geografia del teatro italiano, diffondendolo nelle provincie e nei piccoli centri: da Fara Sabina a Pontedera, da Settimo Torinese a Treviglio, da Volterra a Polverigi.
Non c’è dubbio che oggi siano cambiate moltissime cose. Forse è cambiato il significato stesso di centro e periferia, il senso delle loro differenze e della loro dialettica.
Cominciamo col dire che ormai l’intera cultura (arte compresa) è periferica, marginale, nelle società contemporanee neoliberiste, dove sono la tecnica e il profitto a farla da padroni, dove anche l’intrattenimento e l’uso del tempo libero si muovono ormai su piani che hanno sempre meno a che fare con la cultura e con l’arte. Il teatro a sua volta è periferico nel sistema culturale: quindi, una periferia di una periferia. Ciò non esclude ovviamente che anche nel piccolo mondo del teatro esistano situazioni di potere e di privilegio e condizioni di debolezza ed emarginazione.
E tuttavia oggi la realtà teatrale nel nostro Paese mi sembra fatta quasi soltanto di periferie e di margini, rispetto a un centro che è sempre più difficile individuare: un non-luogo sempre più sfuggente, fantomatico, un puro simulacro, una "fortezza vuota", com’è stato definito qualche tempo fa (Civica-Scarpellini).
Pur dentro una situazione complessiva di grande difficoltà e precarietà, a me sembra che le periferie del teatro si stiano dimostrando in grado di rispondere molto meglio di quanto non faccia il cosiddetto centro (Teatri Nazionali, Ministero etc.). Ad esempio, è soprattutto ai margini che si è sviluppata l’attenzione del teatro verso le aree del disagio e della diversità, con esperienze che vanno in genere sotto l’etichetta riduttiva e ambigua di "teatro sociale" ma che, almeno nei casi migliori, stanno rigenerando il lavoro teatrale, restituendogli un senso e una necessità.
Sia chiaro. La periferia (nelle varie accezioni del termine) è un posto duro, difficile, dove tutto va conquistato lottando. Per molti può diventare una maledizione, una prigione. Per altri può essere invece un’opportunità. La differenza, come al solito, la fanno la determinazione, le capacità, il duro lavoro.
Di questi temi si è discusso in un incontro ("La centralità della periferia") organizzato a Chivasso il 14 dicembre scorso da Chiara Crupi e Luca Vonella (Teatro a canone), con l’aiuto del Comune e della UILT. Fra gli invitati, Eugenio Barba, Julia Varley e Gabriele Vacis.
L'articolo Al centro del nuovo teatro c’è la periferia: è da qui che arrivano le cose più interessanti proviene da Il Fatto Quotidiano.