Cambiamento climatico, gli effetti sul cervello? Ci rende meno smart, più aggressivi ed esposti a malattie: "E' una crisi di salute pubblica"
Ieri alle 02:10 AM
"Gli effetti del cambiamento climatico sui nostri cervelli? Costituiscono una crisi di salute pubblica che viene per la maggior parte ignorata. Eppure è stato dimostrato che, ad esempio, gli alunni che eseguono test universitari in giorni caldi rischiano maggiormente di fallire: che lo stress cronico diventa clinico e la sintomatologia della depressione clinica si impenna con la perdita di paesaggio ed eventi traumatici come incendi; aumentano malattie portate da zanzare note per la malaria cerebrale e dalle amebe divoratrici di cervello". Per non parlare dell'aumento dell'aggressività, direttamente proporzionale a quello delle temperature. È un grido di allarme quello lanciato dal giornalista scientifico Clayton Page Aldern, in un volume per la cui stesura ha impiegato alcuni anni, The Weight of Nature (Se il tempo è matto. Come il cambiamento climatico cambia la nostra mente e il nostro corpo, in uscita per Aboca edizioni).
Il primo elemento analizzato nel libro è la questione dei veri e propri deficit cognitivi causati dal caldo. "Per uno spinoso e contorto paradosso", scrive Clayton Page Aldern, "quello che stiamo apprendendo sugli effetti del caldo sulla cognizione è che sono più pronunciati nei compiti complessi come l'aritmetica, la coordinazione motoria e la funzione esecutiva". Il caldo, insomma, non incide dunque sugli atti più semplici ma su quelli più complessi. La triste verità, spiega l'esperto, è che "i nostri cervelli non sono bravi come dovrebbero ad attarsi a temperature elevate". Oltre un certo punto, non riusciamo più ad acclimatarci e la nostra prestazione cognitiva ne soffre, con gravi danni cerebrali oltre i 39 gradi.
Flop ai test con troppo caldo. Le conseguenze sulla vita pratica sono numerose. Jisung Park, per esempio, un economista dell'UCLA, ha di recente raccolto un insieme di dati su 1 milione di studenti di New York City, calcolando che le temperature più alte nei giorni di esame avevano causato il fallimento di almeno mezzo milione di test in quindici anni. Sempre secondo gli studi di Park, per lo studente medio, sottoporsi all'esame con 32 °C di temperatura riduce la probabilità di essere promossi in una certa materia di circa il 10 per cento. In Cina, Graff Zivin e i suoi colleghi hanno raccolto un campione di 14 milioni di osservazioni su studenti che hanno svolto l'Esame nazionale per l'ingresso all'università, o gaokao, che ha un ruolo importantissimo. I ricercatori hanno dimostrato che un aumento da deviazione standard nella temperatura provocava un calo nei punteggi del gaokao. Risultati simili sono stati rilevati in India.
Ancor più inquietante il fatto che negli Stati Uniti, secondo alcuni ricercatori di Ottawa, guidati dall'economista Anthony Heyes, per ogni aumento di 5,5 °C durante un'udienza, la probabilità che un giudice esprima un parere favorevole al richiedente asilo cala di quasi il 7 per cento.
Più caldo, più violenza. L'altro aspetto analizzato dal saggio riguarda il rapporto tra caldo e aggressività, dimostrato ampiamente da tutti gli studi sui pesci e su altri animali. In generale, scrive l'autore, "le sommosse sono più probabili con le alte temperature, così come i casi di violenza di coppia e aggressione aggravata". Il clima caldo sembra ridurre la funzione serotoninergica, con aumento, appunto, dell'impulsività e della violenza.
Crescono, anche, malattie infettive ancora rare come la Naegleria fowleri, meningoencefalite amebica primaria o ameba mangia cervello: infatti, ha bisogno di acque calde (laghi, fiumi, sorgenti termali) e si trova bene anche a temperature molto alte. Un clima in trasformazione sta portando le persone a più stretto contatto con i vettori della malattia cerebrale. L'allarme riguarda anche le malattie di origine zoonotica, che causano 3 milioni di morti ogni anno. "A mano a mano che la deforestazione, l'espansione urbana e il mescolamento degli ecosistemi dovuto al cambiamento climatico spingono le persone e gli animali in situazioni di prossimità, diventa più probabile che le persone prendano malattie da altri animali". L'elenco è lungo: encefalite giapponese, portata dalle zanzare; neuroborreliosi, conseguenza insidiosa della malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche; la febbre gialla, trasmessa dalle zanzare; lo Zika, il virus Powassan, sempre causato dalle zecche. E altri ancora.
Ecoansia: perché non ha nulla di irrazionale. Ma la crisi climatica porta con sé, anche e con sempre maggior frequenza, il disturbo da stress post traumatico: "Non serve andare in guerra per soffrirne: la violenza di un incendio spontaneo o di un uragano, che ormai si abbattono con frequenza sempre crescente, basta e avanza", nota l'autore. Secondo uno studio dei ricercatori che hanno analizzato l'impatto dell'uragano Katrina (2010), addirittura i bambini che durante la tempesta erano nell'utero hanno evidenziato un rischio maggiore di sviluppare disturbi psichiatrici.
E poi c'è, appunto, la tristezza climatica. Secondo l'autore, è sbagliato parlare di "ecoansia", perché l'ansia allude a una paura irrazionale, "ma non c'è niente di irrazionale nel temere che vada tutto in malora. Una montagna che scompare non è una sorpresa trascurabile: è uno shock". L'ansia climatica è piuttosto una dissonanza tra la "nostra innata nostalgia di casa – e di continuità – e gli imperativi della sopravvivenza in un mondo in trasformazione".
Una reazione sociale e condivisa alla crisi climatica. Ma ci sono possibile soluzioni a tutto questo? L'aria condizionata non lo è, spiega l'autore, non solo per l'uso massiccio di energia che richiede ma perché, ad esempio, anche se uno corre da casa a scuola per fare une esame, andando fuori al caldo, "probabilmente non raggiungerà l'equilibrio termico prima della sua fine". Servirebbe invece arginare la deforestazione e le interazioni di sfruttamento con la fauna selvatica. Ma anche colmare le lacune dei professionisti della medicina, veterinari, ecologici sulle minacce zoonotiche ed educare la popolazione alla biosicurezza.
Serve poi rafforzare la resilienza, attraverso il supporto sociale, pratiche di mindfulness o interventi terapeutici, che possono contribuire a indirizzare l'adattabilità del cervello verso la crescita e il recupero. E serve, ancora di più condividere paure e speranze sul clima, creare una narrazione, trasformare le ansie individuali in una determinazione condivisa. Conclude Clayton Page Aldern: "Riconoscere e accettare i nostri pesanti legami planetari può offrire lo strumento per imbastire una reazione sociale alla crisi climatica, un modo in cui possiamo costruire i legami necessari all'azione collettiva. Ancorati, stabilizzati dalla tristezza, possiamo agire".
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