I giornali e la passione per la carta. Io dico: il sistema non innova, ma si protegge

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Forse i numeri non sono il massimo in un articolo – ammorbano la narrazione, è il pensiero di molti – però in certi casi aiutano a mettere le cose in prospettiva. Parliamo di informazione, politica, social media e quotidiani. Bisogna sapere che una piattaforma come X (ex Twitter), nonostante l'eccessiva copertura mediatica legata alle scelte politiche di Musk e al suo ruolo nell’incombente amministrazione Trump, è scivolata al 14esimo posto tra i social globali con 550 milioni di utenti attivi al mese (il leader Facebook ne ha 3,1 miliardi e la cinese TikTok un miliardo). In Italia X va un po’ meglio (non ci sono i pechinesi) così la troviamo al nono posto. Stando ai dati più recenti, Facebook conta circa 35,9 milioni di utenti italiani attivi mensili, mentre per X le statistiche specifiche non sono pubblicamente disponibili; quindi, vanno dedotte in proporzione ai numeri globali.

In questa realtà, molto frammentata, a Musk negli ultimi tempi i giornali hanno dato uno spazio sproporzionato. Non sarebbe così se il fondatore di Tesla e SpaceX non spingesse, in modo forsennato, idee e progetti di estrema destra che colgono esattamente nell’intento: sconquassare il sistema di potere consolidato, soprattutto in Europa (come ho scritto in Musk e Zuckerberg andrebbero nazionalizzati).

Qui però c'è una doppia e sconveniente verità. La centralità dei social media come spazi di conversazione e gusti condivisi a suon di “like” e “follower” si sta sgretolando. E comunque, cambia faccia (su Facebook ad esempio i giovani non cliccano più, preferendo Instagram e TikTok). Questa frammentazione dell'informazione (come grande universo) si riflette anche nel calo di lettura dei quotidiani cartacei, sempre più marginali in un panorama informativo dominato dalle news digitali, con la ‘dipendenza’ che il fenomeno crea in ciascuno di noi, abusatori di tale sostanza allucinogena.

La non-notizia è che in Italia i quotidiani diminuiscono nel complesso le vendite individuali, a novembre 2024 -6,5%, mentre in edicola il calo è -9,2% secondo le ultime rilevazioni Ads. Uno dei pochi giornali in controtendenza è Il Fatto Quotidiano, in crescita a +5,9% rispetto al novembre dello scorso anno. Forse proprio perché è indipendente ed è l'unico a non ricevere soldi dallo stato. Le vendite individuali cartacee di Repubblica sono 63.323 e del Sole 24 Ore 19.157. A questo punto il discorso va alla domanda cruciale: perché si mantengono in vita tanti quotidiani che, senza i soldi di noi contribuenti, tramite gli scandalosi sussidi pubblici all'editoria, meriterebbero di chiudere oggi stesso?

Il calo costante delle vendite dei giornali cartacei in Italia è indicatore di un sistema mediatico che sembra incapace di adattarsi ai cambiamenti epocali del consumo di informazioni. Nonostante il pubblico si stia spostando sempre più verso il digitale, i giornali continuano a stampare copie fisiche non per soddisfare una domanda reale, ma per garantire la propria visibilità politica. Le rassegne stampa televisive, che si affidano al cartaceo come simbolo di autorevolezza, perpetuano un modello obsoleto, giustificando così sprechi di risorse e il mantenimento di sovvenzioni pubbliche. Il sistema protegge se stesso piuttosto che innovare.

Questa resistenza al cambiamento riflette una crisi d’identità. I quotidiani, nati come strumenti di informazione e dibattito pubblico, sono sempre più relegati a un ruolo servile nella sfera politica e mediatica, o per il governo o per l’opposizione, mai nessuno che riporti i fatti come sono (le guerre in Ucraina e a Gaza sono state uno spartiacque). La loro esistenza fisica serve più a consolidare l’apparenza di un pluralismo che nella pratica risulta sempre più ridotto. In un’epoca in cui le piattaforme digitali sono il principale campo di battaglia per le idee, i giornali non riescono a competere con la velocità, l’interattività e l’accessibilità dei social media.

Mentre la tecnologia dovrebbe rendere l'informazione più democratica, vediamo un sistema che sovvenziona il passato per paura di perdere il controllo sul presente. I giornali dei grandi editori industriali rappresentano una forma di ancoraggio simbolico per un'élite che ha paura di essere sopraffatta dall'orizzontalità dei social media, dove l’autorità tradizionale è sfidata ogni giorno. Lo strapotere dei social e di personaggi come Elon Musk e Mark Zuckerberg sono al centro di ciò che veramente dovrebbe interessare l'Occidente. Ma continuare a stampare giornali che nessuno legge realmente non è la risposta. È un tentativo di conservare un'illusione di stabilità, un “teatro” che maschera la perdita di rilevanza dei media tradizionali (in America li chiamano legacy media).

Il problema non è solo economico, ma culturale. Siamo in un'era di discontinuità, e ignorarlo non farà altro che accelerare il declino. La vera domanda non è se il passaggio a "full digital" sia distopico, ma quanto a lungo possiamo permetterci di nascondere l'inevitabile. Per ora, ci ritroviamo con un sistema vecchio che resiste per motivi politici, alimentando così una crisi culturale e un modello mediatico che protegge il passato invece di costruire il futuro.

L'articolo I giornali e la passione per la carta. Io dico: il sistema non innova, ma si protegge proviene da Il Fatto Quotidiano.

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