Colere-Lizzola, l'assurdo progetto da 70 milioni di euro per unire due stazioni di sci: bucare una montagna per sciare a bassa quota

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Bucare una montagna, calpestare un’area protetta, portare cemento e pali in una vallata oggi libera da infrastrutture (e in zone a rischio valanghe). Il tutto per la cifra consistente di 70 milioni di euro – probabilmente destinati a crescere – di cui 50 dalle casse pubbliche. Tanto costa, in termini economici e ambientali, il mega-progetto di collegamento di due stazioni sciistiche della Bergamasca che distano tra loro circa otto chilometri: Colere e Lizzola. Ma l’assurdità dell’operazione non finisce qui. Da una parte, infatti, l’altitudine del nuovo comprensorio resterebbe limitata (da 1.000 a poco più di 2.000 metri di quota); dall’altra i chilometri complessivi di piste – ancorché siano previsti nuovi tracciati – rimarrebbero invariati.

Sono passati sei mesi da quando RSI, la società che gestisce gli impianti di risalita di Colere, in Val di Scalve, ha presentato – e depositato nei Comuni coinvolti – il progetto di unione delle due stazioni. Da qualche settimana, nella Bergamasca, non si parla d’altro, complici tanto l’attivismo delle associazioni contrarie quanto quello delle istituzioni a favore (i sindaci di Colere e Valbondione, sotto cui cade la stazione di Lizzola, e parte della politica che siede a Palazzo Lombardia). Anche perché, va detto, la previsione è che, sci ai piedi, si possa passare da un comprensorio all’altro già a dicembre 2026. Ma andiamo con ordine.

IL COLLEGAMENTO, NEL DETTAGLIO – Il progetto di RSI prevede la costruzione di quattro impianti di risalita: due nuove cabinovie, rispettivamente a Colere e Lizzola (in quest’ultimo caso, in sostituzione delle tre seggiovie esistenti); due seggiovie in Val Sedornia e una funicolare a servizio degli sciatori che passeranno da una parte all’altra del traforo, lungo circa 500 metri, praticato nel Pizzo di Petto, montagna che fa da spartiacque alle due località. E ancora: tre piste da discesa, ex novo, vale a dire lo spianamento di tre pendii integri per una larghezza di 30-40 metri; la realizzazione di un bacino artificiale dalla portata di 60-80mila metri cubi alle pendici nord-est del Monte Ferrante e l’innevamento artificiale lungo tutti i nuovi tracciati. Oltre ai già citati costi, cioè 70 milioni di euro, di cui 50 dalla Regione Lombardia e 20 dai privati, il progetto andrebbe a danneggiare (nel caso della Val Sedornia) una Zona Speciale di Conservazione (Rete Natura 2000) e resterebbe ai limiti della Zona di Protezione Speciale del Parco regionale delle Orobie bergamasche. Ma non solo. Nella relazione geomorfologica e nivologica, allegata da RSI, i geologi indicano un possibile rischio valanghe in più punti: nella parte superiore della pista da ricavare in Val Sedornia, nella parte superiore di quella della Val Conchetta nonché per i due sbocchi del traforo.

IL DIBATTITO: QUALE FUTURO PER LA MONTAGNA? – La natura del progetto non ha convinto una parte della popolazione, che si è riunita in un comitato, Terre Alt(r)e, con lo scopo di informare la cittadinanza e chiedere che i soldi vengano investiti su altri fronti: servizi, diritto alla casa, mobilità, sanità, commercio locale, manutenzione delle strutture esistenti e interventi per mitigare il dissesto idrogeologico. Vale a dire, in sintesi, investire nella transizione: dalla monocultura dello sci alpino a una diversificazione turistica, economica e sociale. “Abbiamo sentito la necessità di portare il progetto, calato dall’alto da un gruppo di imprenditori, nel discorso pubblico – dice Paolo Perosino di Terre Alt(r)e – Non siamo un collettivo ambientalista, perché anche se è vero che ci sono delle ragioni di carattere ambientale per bocciarlo, ci sono questioni di natura tecnica ed economica. In definitiva, di una diversa concezione del turismo e della valle. Argomenti che abbiamo portato a galla in una serie di incontri pubblici, molto partecipati, che abbiamo organizzato nella Bergamasca. Un’opera così importante, che può modificare in modo tanto impattante le nostre valli e le nostre montagne, dev’essere condivisa sul piano pubblico e discussa con la cittadinanza. Siamo convinti che il collegamento non migliorerà la qualità della vita delle persone che abitano in montagna e, anzi, pensiamo che accelererà lo spopolamento“.

La ragione è presto detta: per sopravvivere, le stazioni sciistiche devono contare sempre più spesso, e unicamente, su soldi pubblici che ripianino i debiti e le tengano in funzione. Il motivo qui sì che è strettamente ambientale: i cambiamenti climatici portano con sé sempre meno precipitazioni e, in questo caso, con le temperature in aumento, sempre meno neve. Ma produrre neve artificiale si sta rivelando, oltreché costoso, anche poco fattibile sul piano tecnico: si stanno assottigliando i giorni in cui è possibile ricorrere alla cosiddetta neve tecnica. E la Banca d’Italia sta lì a dirlo: non conviene fare nuovi investimenti nello sci alpino sotto i 2mila metri di quota.

Ad aderire al no – con tanto di petizione – ci sono anche la sezione locale del Cai (Valle di Scalve), il Cai Lovere, OrobieVive, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness Lombardia, lo scrittore ed esperto di montagna Luca Rota, il Tam del Cai della Valcamonica e tanti altri.

LE RAGIONI DEL SÌ: “NON VOGLIO UN PAESE FANTASMA” – A spostare l’attenzione sul merito del progetto e sulle politiche che gioverebbero alla Val di Scalve e all’alta Val Seriana sono stati i toni accesi – e i gesti non troppo edificanti – di questi ultimi giorni. Da una parte le attenzioni rivolte al sindaco di Valbondione, Walter Semperboni, ritratto su una serie di adesivi dal carattere offensivo e provocatorio. Dall’altra la risposta del fumantino primo cittadino sui social: “Succhiate, stronzetti pseudo ambientalisti e comunisti. E lo dico da sindaco“. Raggiunto al telefono, Semperboni ha voluto precisare di aver perso la pazienza “e che un sindaco va rispettato. Sa perché mi batto in modo così forte per il progetto? Perché non c’è un piano B, senza collegamento Lizzola muore, e il mio paese si trasforma in un paese fantasma. In questi giorni lo è già”. L’argomentazione di Semperboni è che le seggiovie di Lizzola dall’anno prossimo devono essere necessariamente dismesse, poiché giunte alla fine vita tecnica. E nessuno avrebbe i mezzi per rinnovarle. “Lizzola da sola – continua – agli imprenditori non interessa. E poi non capisco perché ci si lamenti di un buco nella montagna. Qui si praticava l’estrazione del ferro, tutte le montagne sono bucate”.

Sulle mutate condizioni climatiche Semperboni risponde che “è vero, ci sono meno precipitazioni nevose, ma nel 2020 è scesa tantissima neve. E poi gli impianti servono per destagionalizzare il turismo. D’estate le persone ne possono usufruire, compresi gli anziani e i disabili, che hanno il diritto di godere delle nostre montagne”. Di dominio pubblico è il fatto che il sindaco abbia una “M” tatuata sul corpo. “Sul collo, per l’esattezza – conferma Semperboni – è la M di Mussolini (Benito, ndr). Per dieci anni ha governato benissimo, almeno fino alle leggi razziali”. Il sindaco, che è un estimatore anche di Giorgio Almirante, è in ottimi rapporti con l’ex assessora al Turismo della Lombardia, Lara Magoni, ora parlamentare europea di Fratelli d’Italia (ed ex campionessa di sci). Il prossimo passo, concreto, per avviare il progetto di collegamento Colere-Lizzola è una conferenza dei servizi. La regia – e la decisione – spetta alla Regione Lombardia.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

La foto centrale è di ColereMountain/Facebook

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