Reddito di cittadinanza, i dati della Finanza e la narrazione sui "furbetti". Irregolarità? Per meno del 2% dei beneficiari
Oggi alle 10:50 AM
In poco meno di cinque anni di vita il reddito di cittadinanza ha raggiunto in media – considerati anche i picchi post Covid– 3,3 milioni di persone e ha evitato che 1 milione di individui precipitassero nella povertà assoluta. Nello stesso periodo i controlli mirati della Guardia di Finanza hanno fatto individuare poco più di 60mila irregolarità: sono stati 62.215 i beneficiari segnalati alle procure e ammontano a 665 milioni di euro le cifre percepite senza averne diritto. Esponenti di maggioranza hanno già iniziato a gridare al “mostruoso spreco di risorse”, ma i numeri diffusi dal III Reparto Operazioni delle Fiamme Gialle dicono altro. A fare errori o tentare di truffare lo Stato è stato, a spanne, l’1,8% dei beneficiari (o il 4% dei nuclei coinvolti). Quanto ai soldi sottratti, considerato che la misura anti indigenza è costata nel complesso circa 34,5 miliardi le frodi hanno sottratto solo l’1,9% delle cifre stanziate. Il fenomeno di quelli che una parte della stampa e la destra di governo hanno descritto come una torma di “furbetti del reddito” è stato insomma percentualmente limitatissimo.
La Gdf come detto ha appena diffuso i dati di consuntivo post abolizione della misura, sostituita con il più avaro Assegno di inclusione e il Supporto formazione lavoro riservato ai presunti “occupabili”. Le verifiche non sono state fatte a tappeto ma si sono concentrate su “soggetti per i quali emergano warning, ossia elevati indici di rischio” legati a diversi aspetti: assenza dei requisiti di residenza (per ottenere il reddito bisognava aver risieduto in Italia per 10 anni), presenza di condanne per uno dei reati che erano causa di esclusione dal sussidio, mancata dichiarazione di redditi, patrimoni o lavori in nero, falsità sulla composizione della famiglia. Dal 2019 al novembre 2024 sono stati fatti su quella base 75.910 controlli mirati, accertando “contributi fraudolentemente percepiti e/o indebitamente richiesti” nel 79,5% dei casi, poco più di 60mila.
Tanti o pochi? L’incidenza percentuale vista prima dice già molto. Può aiutare, poi, qualche confronto con le altre frodi che impattano sulle casse pubbliche. L’ultimo bilancio operativo della Gdf, sulle attività svolte nel 2023 e tra gennaio e maggio del 2024, dice che solo in quei diciassette mesi sono stati scoperti 8.743 evasori totali e 19.928 persone sono state denunciate per reati tributari. Tra profitti di frodi fiscali e crediti di imposta inesistenti o ad alto rischio sono stati sequestrati oltre 8,3 miliardi. Le poco meno di 20mila indagini in materia di spesa pubblica hanno portato alla denuncia di 31mila persone e alla segnalazione di 6.345 alla Corte dei Conti. Sono stati accertati danni erariali per oltre 3 miliardi, più di quattro volte i contributi “fraudolentemente percepiti” dai percettori del rdc nel corso di cinque anni. Guardando alle imprese, nel solo 2023 l’Inps ha recuperato contributi e premi evasi per 1,2 miliardi, il doppio rispetto al valore delle frodi sul rdc. Per non parlare delle truffe sulla cassa integrazione, per cui è imputata tra gli altri la ministra del Turismo Daniela Santanché.
Sul concetto di “frode sul reddito”, poi, bisogna intendersi. Le denunce scaturite dai controlli della Finanza non equivalgono come è ovvio a condanne. Anzi. In moltissimi casi, come raccontato dal Fatto, i processi hanno accertato che i presunti truffatori erano persone che hanno semplicemente sbagliato a compilare i moduli, a volte perché indotti in errore – o non corretti – dai Caf. Che in alcuni casi sono risultati “registi”, scrive la Gdf, della presentazione di istanze per la concessione del rdc a chi era privo di residenza. Risultato: fioccano le assoluzioni per tenuità del fatto o perché dimostrare il dolo è impossibile, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà linguistiche dei richiedenti stranieri denunciati proprio perché non residenti in Italia da più di dieci anni. Requisito peraltro dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia Ue. Tanto che il governo Meloni, quando ha varato l’assegno di inclusione, ha deciso di abbassare l’asticella a cinque anni.
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