Città a 30 km/h, il modello Bologna funziona e va esteso subito a tutte le altre

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Sono arrivati i dati relativi ad un anno di velocità limitata (30 km) nella città di Bologna. E sono dati sconvolgenti in senso positivo, direi quasi commoventi. -49% di persone decedute, 0 pedoni uccisi (non accadeva dal 1991, da quando cioè sono iniziate le rilevazioni), -31% di incidenti gravi, -11% di persone ferite, -29% di inquinamento, +31% di utilizzo di mezzi pubblici. Traduciamo questi dati in apparenza freddi in realtà: significa che ci sono la metà delle famiglie, rispetto all’anno precedente, disperate, distrutte per sempre dalla perdita di un padre, una madre, un figlio. Oppure dal ferimento più o meno grave di una persona che si ama oltre misura. Significa anche meno inquinamento, e quindi meno persone malate di allergie, asma, bronchiti e tutto il corredo legato (anche) all’inquinamento legato alle auto.

Questi dati cadono nel mezzo delle polemiche delle misure introdotte dal nuovo Codice della strada voluto dal ministro Salvini, che definì un anno fa quella del sindaco Lepore di Bologna una scelta insensata e ideologica, ironizzando sul sicuro fallimento (invece tutto si è svolto serenamente, nessuno ha perso il lavoro, le multe sono state poche e sono pochi quelli che ad oggi vorrebbero cambiare). Il Codice della strada, quello sì, è invece schizofrenico, con aumento abnorme delle multe (e conseguente effetto regressivo), ma anche una frenata proprio sulle zone a traffico lento e sulle ztl, e norme rigide sulla mobilità sostenibile come i monopattini, se pure andavano in qualche modo regolamenti, rischiano oggi letteralmente di sparire.

Lo stesso Salvini aveva annunciato che con il nuovo Codice si erano ridotte le vittime. La misurazione era stata fatta a 15 giorni dall’entrata in vigore. Ma secondo le associazioni – come L’Associazione Lorenzo guarnieri onlus – e secondo l’ASAPS (Associazione sostenitori amici della polizia stradale) i dati del ministro tenevano conto solo delle rilevazioni della polizia stradale e dei carabinieri e non della polizia municipale. Inoltre, non si può utilizzare un periodo di due settimane per fare confronti, perché periodi così corti possono essere influenzati da variabili casuali e inoltre può accadere che persone ferite muoiano successivamente.

I dati di Bologna, invece, fanno riferimento ad un anno e sono incontrovertibili. E dunque ci indicano una strada che tutte le città italiane, in particolare quelle più flagellate da incidenti mortali, come Milano e Roma, dovrebbero seguire. È una strada paradossalmente relativamente semplice, al di là delle sicure polemiche e iniziali resistenze. Non si tratterebbe di fare un certo numero di isole dove si va più piano, come sta facendo con estrema lentezza Roma e con scarsi risultati, ma imporre a tutta la città (non ovviamente strade come tangenziali e raccordi) una velocità più bassa. Si obietterà che, ad esempio, a Roma si va già ad una media assai più bassa visto il traffico. Ma proprio questo dovrebbe indurre a cambiare, perché una velocità bassa e costante è sicura, un andamento lentissimo con improvvise accelerate invece no.

In generale, servirebbe che il tema delle morti su strada entri nel dibattito pubblico davvero, senza strumentalizzazioni e con la massima urgenza. in Italia muoiono ancora oltre 3.000 persone all’anno sulle strade, come le Torri Gemelle, e non riusciamo a ridurle come ci chiede da anni l’Europa. Si tratta di migliaia di famiglie, ripeto, distrutte, genitori che hanno perso ragazzi, magari figli unici, o se li ritrovano in sedia a rotelle, bambini che hanno perso i genitori, a volte persino tutti e due (come in un incidente di pochi mesi fa proprio sul Raccordo Anulare di Roma, che ha ucciso una coppia di genitori con due figli di 10 e 12 anni).

Come si può vedere tutto ciò senza fare nulla, o meglio, senza fare abbastanza? Senza agire con misure drastiche e soprattutto senza mettere l’obiettivo della riduzione dei morti, come ha fatto Lepore, al centro della propria azione amministrativa?

Come è noto vivo a Roma e leggere la cronaca locale è diventato qualcosa di talmente straziante che a volte evito di farlo. Uno stillicidio di morti quasi quotidiano, qualcosa di impossibile persino da pensare. E la cosa peggiore, come ho già avuto modo di scrivere, è che il sindaco Gualtieri di questi decessi non parla praticamente mai. Non li cita, ad esempio, quando fa il suo bilancio annuale all’Auditorium, dove vengono snocciolate solo cose positive. Ma non si possono ignorare questi morti, perché ignorarli davvero significa, in un certo senso, farli morire due volte.

La città di Roma ha due enormi problemi oggi: i morti sulle strade (e la mobilità impossibile) e la crisi climatica che la sta rendendo sempre più calda e torrida. Paradossalmente, il sindaco parla più del secondo che del primo problema. Oggi, però, un altro sindaco dello stesso partito sta spiegando all’Italia, con fatti e numeri, una possibile strada per ridurre lo strazio senza fine delle famiglie. A mio avviso, sarebbe quasi un obbligo morale leggere questi dati e decidere di fare lo stesso. Non ci sono più scuse. Che si agisca, e in fretta. Per già oggi e domani altre persone verranno uccise nelle nostre città dalla mobilità folle e malata, dove ogni giorno scendiamo in strada col timore e l’angoscia che possa accadere qualcosa a noi e alle persone a cui teniamo di più.

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