Il caso Zaia è tutto qui: un Governatore-influencer con la mania del controllo esasperato

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Zaia si è già smentito da solo, il terzo mandato lo ha già fatto – il prossimo infatti sarebbe il quarto – ma si è scordato di aver pubblicizzato, proprio lui, per mari e per monti, che la legge sui due mandati come limite massimo era stata una sua precisa volontà perché, diceva, "bastano due mandati e poi a casa!".

In realtà noi sappiamo bene che quella norma dei due mandati l'aveva solo subita da un Consiglio Regionale del Veneto che, unendo maggioranza e opposizione, l'aveva inserita nello Statuto nel lontano 2011. Ma tant'è, faceva comodo allora cavalcare populisticamente una norma che limitava nel tempo il massimo potere locale esistente. Poi si sa "l'appetito vien mangiando" e quale miglior cosa che poter proseguire ad libitum l'esercizio del potere?

Del resto la storia si ripete, raccontiamola. Correva l'anno 2009 e siamo al termine del terzo mandato di Galan in Regione Veneto; dopo 14 anni ininterrotti di regno il Doge Galan scriveva un libro che titolava "Il nordest sono io", rombante espressione per disegnare un fatto indiscutibile – a sua evidenza – che doveva mettere subito sul chi-va-là chiunque pensasse di poterlo scalzare. Lui, anzi Colui che aveva prodotto il passante di Mestre, il rigassificatore, la Pedemontana… era chiaro, non poteva essere rimosso. Poi sappiamo com'è andata.

Allora bastò una cena ad Arcore per sostituirlo con il novello Doge Zaia sponsorizzato da Bossi, del resto così funziona da quelle parti la pretesa autonomia veneta di pura facciata. La destra ha sempre deciso altrove, in base al manuale Cencelli o a un gioco di scacchi, a chi spetta il governo dei territori. E forse è anche per questo che spesso e volentieri si incrociano sindaci di centrosinistra in città che tale vocazione politica non paiono avere, perché è chiaro che le decisioni prese altrove e dall'alto possono non cogliere il sentire popolare…

Ma torniamo a Galan-Zaia, le cui similitudini sono evidenti. Sono infatti divenuti entrambi scrittori imperituri a fine mandati (tre, ricordiamolo, per entrambi), pensando di rendersi immortali raccontandosi come "indispensabili" ed entrambi convinti del loro diritto a rimanere a vita a capo della Regione Veneta.

Zaia verrà rimosso dallo stesso gioco tra le parti esistente nel 2009 in questo caso da una premier affamata di potere a nord, che ha addirittura spostato la data elettorale anticipandola ad ottobre solo per le Regionali, in barba all'economia nazionale e alla percentuale sempre più scarsa di votanti, per impedire a Zaia e alla Lega di presenziare ai giochi olimpici invernali 2026 Milano-Cortina e quindi non trarne un beneficio d'immagine.

Cosa cambia invece tra le due esperienze? Cambia la modalità di comunicazione tra i due: Galan meno interessato a un consenso da coltivare in modo spregiudicato, mentre Zaia fin dal primo giorno del suo mandato nel 2010 ha moltiplicato le risorse umane addette all'ufficio stampa e quello della comunicazione aggiungendone 15, un numero che neanche Palazzo Chigi può permettersi. Così ha governato in modo sprecone ed autoreferenziale il Veneto, come fosse un piccolo Stato monarchico.

Non ha badato a spese Zaia per circondarsi di chi, minuto per minuto, ha seguito per suo conto ogni singolo battito di ciglia si muovesse in Veneto, sempre con l'intento di significare attenzione e vicinanza ai cittadini ma con qualche macabra anomalia, quale far arrivare i telegrammi di condoglianze, in tempo di Covid, a famiglie di persone vive e vegete ma che evidentemente erano state segnalate in gravi difficoltà… un eccesso di efficienza che ha dato origine a più di qualche ironia e malumore.

Il caso Zaia è tutto qui, questa è la storia di un Governatore-influencer (chissà perché governatore e non presidente) con la mania del controllo esasperato su tutto e su tutti col fine di non lasciare mai nulla al caso, rappresentandosi sempre, nonostante gli innumerevoli errori e lacune, come il più vicino al "sentire" popolare, grazie a uno stuolo di preziosi comunicatori e altrettanti devoti dirigenti. Senza dimenticare i fondi a pioggia a sagre e talune associazioni per alimentare un consenso autoreferenziale.

I dati di un Veneto rallentato su dati evidenti e su molti temi, rispetto alle due grandi regioni contermini Lombardia ed Emilia Romagna, deve chiedere oggi meno populismo di maniera e meno slogan, ma più trasparenza, partecipazione vera e visione.

Sarà questo calcolo politico, tutto interno alla destra, a permettere un cambio di passo in una Regione sempre meno locomotiva d'Italia? In fondo i conti si fanno alla fine e… se il centrosinistra lavora con intelligenza uno spazio c'è per cambiare registro su temi fondamentali come giovani, lavoro e ambiente, oggi al palo. Del resto, dopo l'ubriacatura di autoincensamenti privi di ragioni, la saggezza popolare ci ricorda come la presunzione umana si scontri inevitabilmente con una realtà in divenire, che rende assai relativa la percezione di sentirsi indispensabili.

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